Il problema offensivo di Victor Wembanyama
Il problema offensivo di Victor Wembanyama può essere spiegato attraverso i numeri
I primi tre mesi di Victor Wembanyama in NBA sono stati memorabili per quanto riguarda l’impatto mediatico e l’effetto che ha avuto sui suoi San Antonio Spurs fin dalla prima partita contro Dallas.
Il record della squadra – 7 vittorie e 30 sconfitte – non racconta nemmeno metà della storia e la prima stagione in NBA del francese sarà molto probabilmente una di quelle da ricordare. Nonostante il minutaggio limitato (solamente 23 minuti di media in questo inizio di 2024) Victor sta dimostrando ancora una volta, come se ce ne fosse ulteriore bisogno, il perché della sua prima chiamata assoluta.
Un giocatore del genere, con quelle dimensioni e quella rapidità nella metà campo difensiva non si era probabilmente mai visto. Wembanyama è già un fattore determinante per gli Spurs ed è per questo che già alla sua prima stagione tra i grandi è un serio candidato al premio di Difensore dell’Anno.
E se nella metà campo difensiva è già uno dei migliori al mondo, c’è una cosa sulla quale può e deve sicuramente migliorare: il gioco offensivo.
Molti parlano di egoismo da parte dei suoi compagni di squadra, altri (giustamente) se la prendono con coach Gregg Popovich per la scelta di affidare le chiavi dell’attacco ad un playmaker che di playmaker non ha quasi nulla, schierando saltuariamente Tre Jones e Wembanyama nello stesso starting five (combinazione che anche statisticamente ha dato i suoi frutti).
I motivi sono molteplici, ma per comprendere meglio le difficoltà di Victor nel suo primo trimestre di NBA utilizzeremo il grafico dei suoi tiri, elaborato dal celebre analista ESPN Kirk Goldsberry.
Il francese è incredibilmente 83esimo su 83 per efficienza nei tiri in sospensione dalla media e da tre (minimo 200 tiri). Dopo 33 partite sta tirando con uno scarso 29.4% dalla lunga distanza, percentuale lontanissima ad esempio dal 40% di Chet Holmgren (suo diretto avversario nella corsa al Rookie of the Year).
Se invece prendiamo in esame i tiri dentro l’area, solamente Giannis Antetokounmpo, Mo Wagner e Jakob Poeltl fanno meglio di lui in tutta la NBA. Ben 111 tiri segnati a fronte dei 150 tentati, con un 74% di realizzazione che è conseguenza diretta del tocco che possiede abbinato alle sue incredibili dimensioni. Un giocatore letteralmente inarrestabile quando decide di schiacciare o appoggiare la palla al vetro, con il punto di rilascio che è spesso più alto del ferro stesso.
La disparità fra dentro e fuori si fa ancora più netta quando guardiamo i punti che il francese segna di media per ogni tiro:
- 1.55 punti per tiro dentro l’area
- 0.78 punti per tiro fuori dall’area
Un giocatore di 2.25m molto più efficiente quando prende tiri a pochi centimetri dal canestro rispetto a quando tira in sospensione? Non la teoria della relatività. Ma allora perché è 53esimo in tutta la lega per tiri presi a partita in quelle situazioni?
Giannis Antetokounmpo ha una percentuale realizzativa leggermente maggiore (76.2%) a fronte però di un numero di tentativi tre volte più elevato rispetto a Victor Wembanyama (467 vs 150).
Perché non prendere più tiri se segni il 74% di quelli che prendi?
Un interrogativo che dovrebbe attraversare la corteccia cerebrale di tutto lo staff tecnico di San Antonio. Perché è vero che ci sono diverse occasioni in cui è proprio Wembanyama ad accontentarsi di tiri in sospensione senza particolare ritmo (e senza particolari risultati), ma di certo il gioco offensivo degli Spurs non è stato in grado – almeno finora – di far arrivare il pallone nelle mani del francese in situazioni di vantaggio o a pochi metri dal canestro, dove è letteralmente letale.
Give him the damn ball!