Come giudichiamo l’NBA All-Star Weekend 2024?
Si è concluso l’All-Star Game, che porta con sé il solito malcontento tra gli spettatori e non solo
Dopo 3 serate di intrattenimento è terminato l’NBA All-Star Game 2024. Come sappiamo, la manifestazione nelle recenti stagioni è stata accompagnata da pesanti critiche a causa della totale assenza di agonismo dimostrato dai giocatori presenti, ma com’è andata quest’anno?
Le partite del venerdì non hanno portato nulla di sensazionale, se non per il nostro Gianmarco Tamberi, che è diventato un habitué del Celebrity Game.
Quello che è dispiaciuto è stato l’approccio dell’attesissimo Team Pau Gasol al Rising Star, con Victor Wembanyama e compagni battuti meritatamente dalla formazione della G-League; a trionfare è stato il Team di Jalen Rose, grazie ad un Bennedict Mathurin MVP di serata.
Al contrario, lo Skills Challenge di sabato notte ha regalato un discreto show, soprattutto grazie ai padroni di casa degli Indiana Pacers che hanno mostrato lampi del loro cristallino talento e si sono aggiudicati la competizione.
Su questa scia è proseguito il 3-point Contest, decisamente il migliore da qualche anno ad oggi: sebbene non gareggiasse Steph Curry per manifesta superiorità, i contendenti si sono dati battaglia fino all’ultimo pallone, quello poi segnato da Damian Lillard e che gli ha permesso di portarsi a casa il secondo titolo di fila.
Ottima, sia nelle intenzioni che nella realizzazione, l’innovazione portata dalla sfida tra lo Chef e Sabrina Ionescu, senza dubbio l’highlight principale dell’intero weekend.
L’analisi più scomoda è decisamente quella che riguarda il Dunk Contest: la Gara delle Schiacciate, che ha meritatamente visto ripetersi il sovrannaturale Mac McLung, ha perso anche quell’ultimo briciolo di appeal che le rimaneva dai fasti del 2016.
Ma dove sta il problema? Il nocciolo della questione è proprio questo, non c’è un vero e proprio problema nella prova in sé: quello che appare evidente ogni anno di più è che i giocatori non sanno più cosa inventarsi per tentare di presentare qualcosa di nuovo, tanto da sfoderare meraviglie atletiche tutte simili fra loro o una interminabile serie di riferimenti e citazioni al passato.
L’unica soluzione che sembra possibile è quella di una sospensione di qualche anno (o magari una celebrazione a stagioni alterne…), per permettere al pubblico di “disintossicarsi” e ai giocatori di maturare con più calma nuove idee.
L’All-Star Game vero e proprio ha vissuto fasi alterne: dopo un inizio acceso e piacevole, la tendenza è ricaduta nelle solite brutte abitudini che non hanno permesso a noi di assistere allo spettacolo che ci era stato ripromesso dal Commissioner NBA Adam Silver e da fonti a lui vicine.
Il risultato, 211-186 per la formazione della Eastern Conference (con Dame Lillard premiato MVP), parla da sé: canestri improbabili e difese fantasma, con diversi spettatori non paganti tra i giocatori a fare da contorno perfetto per un risultato complessivo che ancora non può essere ritenuto soddisfacente.
Cosa accadrà tra 12 o 24 mesi è impossibile saperlo ad oggi, ma quello di cui abbiamo coscienza certa è che questo format di All-Star Weekend non funziona e scontenta tutti, dai giocatori ad allenatori e governance NBA, fino ad arrivare ovviamente a noi tifosi.