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L’All-Star Game NBA è diventato inguardabile, ma noi abbiamo la soluzione

Come a Salt Lake City nel 2023, anche quest’anno ad Indianapolis l’All-Star Game si è rivelato un pessimo spettacolo

Difese inesistenti, giocatori svogliati e livello di competitività sotto lo zero assoluto. Nonostante le premesse dello stesso commissioner Adam Silver, quest’anno si è giocato molto probabilmente il peggior All-Star Game nella storia della NBA.

Il talento dei giocatori nella lega è ai massimi storici eppure l’All Star Weekend – oramai da diversi anni – ha perso quell’alone magico che l’ha sempre circondato e contraddistinto.

Cosa non ha funzionato

Faremmo prima a dire cosa ha funzionato: la sfida tra Steph Curry e Sabrina Ionescu e il 3-Point Contest. Le partite del venerdì meglio non toccarle, visto che hanno raggiunto un livello di interesse praticamente pari a zero. Lo Slam Dunk Contest, escluse un paio di schiacciate di Mac McClung, è stato di una tristezza imbarazzante. Se in una partita di basket che dura 48 minuti vengono tentate 186 triple è semplice comprendere che non ha funzionato praticamente nulla.

E se le triple sono la cosa peggiore della serata (visto che Team Ovest ha sbagliato il 65% dei tiri dall’arco senza nemmeno essere difeso), un altro dato agghiacciante è stato il totale dei falli complessivi: ben 3. Non di un singolo giocatore o in un solo quarto… 3 falli commessi in 48 minuti di gioco. Quattro in meno rispetto alla partita dello scorso anno, che già aveva rappresentato il minimo storico fino a quel momento.

Il punteggio finale della partita recita 211-186.

Per la prima volta una squadra ha superato quota 200 punti. Il record stabilito dalla Eastern Conference è stato festeggiato da Adam Silver con lo stesso entusiasmo di un impiegato postale il lunedì mattina.

Gli americani sono americani, i record vengono sempre festeggiati con anche fin troppa euforia, mentre domenica la delusione per aver mandato in scena un altro spettacolo del genere è stata troppa anche per lo stesso Adam Silver.

Agli All-Star della Eastern Conference, avete segnato il maggior numero di punti… beh… congratulazioni. Giannis, la tua squadra, questo è il trofeo

Adam Silver alla premiazione dopo la partita

I giocatori non hanno nessun interesse o incentivo che li spinga davvero a giocare in maniera competitiva. Anzi, per molti di loro l’obiettivo principale è evitare di infortunarsi e recuperare energie in vista dei Playoff durante un’insolita settimana di pausa nel fittissimo calendario della regular season – come ha esplicitamente ammesso Anthony Edwards.

Per me è l’All-Star Game… quindi non credo che lo considererò mai come qualcosa di super competitivo. È sempre divertente, non so cosa possano fare per renderlo competitivo. Per noi è una pausa, non credo che qualcuno voglia venire qui e competere

Anthony Edwards a The Athletic

E se queste parole provengono da un ragazzo di 22 anni alla sua seconda apparizione, possiamo ben immaginare cosa ne pensi LeBron James che domenica ha giocato la sua ventesima Partita delle Stelle in carriera (record NBA).

Per quanto l’esibizione sia stata terribile in primis per noi spettatori, Adam Silver ha più interesse di tutti nel consegnare ai “customer” un prodotto valido. Il ragionamento è lo stesso del limite minimo delle 65 partite introdotto quest’anno e a lungo andare uno spettacolo simile potrebbe diventare addirittura controproducente per l’immagine dell’intera NBA.

Dal 2020 in poi – l’anno dell’ultimo All-Star Game divertente – gli ascolti dell’intero evento sono calati quasi a picco. Proporre e mettere in atto delle soluzioni adeguate ed efficaci per risollevare l’intero evento è sicuramente al primo posto nella lista delle cose da fare del commissioner NBA.

Quali sono le possibili soluzioni?

La domanda ora sorge spontanea: come tentare di rivitalizzare un evento che negli ultimi anni si è spento sempre di più? Ecco le nostre soluzioni più interessanti:

1 vs 1 tra le stelle

Cosa c’è di meglio di un torneo 1 contro 1 tra i migliori giocatori di basket del mondo? Probabilmente nulla.

Trovata sicuramente interessante e che vorremmo vedere tutti, magari anche con un premio in denaro per il vincitore che convincerebbe i giocatori a dare il massimo. Anche qui: nessuno vuole infortunarsi a due mesi dai Playoff (ancora meno con la nuova soglia delle 65 partite) e probabilmente non vedremmo mai una competizione vera e propria dove tutti danno il 100%.

Ci sarebbe in ogni caso bisogno di suddividere in tre gruppi il pool di giocatori, o in base al ruolo (guardie, ali e centri) o in base all’altezza, in modo da rendere il tutto più equilibrato.

Più… soldi?

Pecunia non olet. È vero che quando si parla di star i soldi non sono certo un problema, ma abbiamo già visto come un sostanzioso premio in denaro possa fare molto più di mille parole nel caso dell’In-Season Tournament.

Assegnare un premio economico darebbe forse una spinta in più ma non risolverebbe il problema: sia LeBron che Anthony Davis hanno dichiarato diverse volte che il loro impegno verso la NBA Cup è stato dettato anche dalla voglia di regalare il premio in denaro ai propri compagni (con lo stipendio molto più basso di loro).

… che interesse avrebbe LeBron James nel vincere 500mila dollari quando il suo patrimonio netto supera il miliardo?

USA vs World

Probabilmente la proposta più valida ma allo stesso tempo difficilmente realizzabile. È impossibile che vada a sostituire completamente l’All-Star Game visto che nei 24 giocatori convocati quest’anno (12 a Est e 12 a Ovest) solamente 5 non erano di nazionalità americana.

Sarebbe comunque interessante vedere una sfida del genere, magari come evento complementare stile sfida Sabrina vs Steph (che è stato sicuramente il momento più elettrizzante di tutto il weekend).

Fattore Campo alle NBA Finals

Un’altra idea molto interessante potrebbe essere: Est contro Ovest, la conference vincente avrebbe il fattore campo alle Finali qualsiasi sia il record con cui termina la regular season. Finalmente i giocatori avrebbero qualcosa per cui lottare veramente ovvero il vantaggio di giocare in casa alle NBA Finals.

Molti potrebbero dire che i giocatori già praticamente sicuri di non arrivare ai Playoff NBA non avrebbero motivo di impegnarsi, ma guardando meglio i 24 giocatori selezionati quest’anno ci si accorge che solamente 2 di questi 24 fanno parte di una squadra con un record negativo – tra l’altro si tratta di Trae Young e Scottie Barnes che sono stati convocati per sostituire gli infortunati Embiid e Randle.

Slam Dunk Contest

Un altro evento che negli ultimi anni ha perso la sua magia. Dalle gesta di Julius Erving, Dominique Wilkins, Michael Jordan e Vince Carter a quelle di giocatori che non fanno nemmeno parte della NBA. Nello Slam Dunk Contest di quest’anno Mac McClung è stato sicuramente il migliore, ma il fatto di convocare per questa competizione – nata come gara tra le star – giocatori di G League come il fratello di Obi Toppin è senza dubbio uno dei motivi per i quali nessuno è più entusiasta di aspettare le 3 di notte.

A circa 50 anni dalla prima edizione le idee degli atleti iniziano inevitabilmente a scarseggiare e gli spettatori hanno visto praticamente tutto. Una soluzione sarebbe quella di sospenderla, dando tempo ai giocatori di trovare nuove idee e agli spettatori di “disintossicarsi”.

Un’altra, molto più interessante ma meno probabile, sarebbe quella di far gareggiare solamente i migliori schiacciatori della NBA, magari facendo decidere direttamente ai fan i partecipanti dello Slam Dunk Contest: quanto sarebbe bello vedere una gara tra Anthony Edwards, Zion Williamson Ja Morant?

Mentre il talento dei giocatori nella NBA continua a raggiungere vette sempre più alte, l’All-Star Game ad Indianapolis del 2024 si è purtroppo aggiunto alla lista delle delusioni recenti. L’auspicio è che in futuro si possa ritrovare quell’entusiasmo e quella passione che rendevano questo weekend così speciale per i fan di tutto il mondo.

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