The Process, la cronistoria di un fallimento
L’ennesima uscita prematura dai Playoff da parte dei Philadelphia 76ers potrebbe aver chiuso una volta per tutte il loro ciclo decennale
A causa della sconfitta in gara 6 al Wells Fargo Center da parte dei Philadelphia 76ers contro i New York Knicks, potrebbe essere arrivata una volta per tutte la fine di un ciclo iniziato oramai 10 anni fa: è giunto così l’inevitabile tramonto del “The Process“? Tra una miriade di delusioni e pochissimi successi, ripercorriamo insieme il cammino fallimentare di una franchigia che non è mai riuscita a consacrarsi come avrebbe potuto.
La data ufficiale che coincide a tutti gli effetti con l’inizio del suddetto progetto sportivo pluriennale volto al raggiungimento finale del Titolo NBA, è il 26 giugno 2014; al Barclays Center di Brooklyn infatti, l’allora GM e Presidente dei Philadelphia 76ers, ovvero Sam Hinkie, decise di selezionare al Draft con la 3ª scelta assoluta il centro camerunense Joel Embiid, direttamente da Kansas University.
La peculiarità che ha contraddistinto il “The Process” rispetto agli altri cicli finalizzati al suo medesimo compimento, sta nella concezione di base attraverso la quale il primo ha affondato le sue radici; ciò a cui si fa riferimento infatti, è la modalità del tanking, che consiste nel perdere più partite possibili durante la stagione per ottenere maggiori possibilità di scegliere il miglior giovane al Draft dell’anno successivo.
Al termine della stagione 2013/14, come detto in precedenza, i Sixers ottennero la possibilità di chiamare colui che sarebbe diventato poi negli anni successivi, il loro giocatore più rappresentativo, ossia Joel Embiid; tuttavia, il cestista classe 1994 dovette saltare inizialmente tutte le partite delle successive 2 stagioni a causa di un infortunio al piede che faticò a superare.
Il record di Philadelphia sotto la gestione di Sam Hinkie fu un’autentica tragedia programmata, con addirittura sole 19, 18 e 10 vittorie dal 2013 al 2016, a fronte di un totale di ben 199 sconfitte. L’ex General Manager fu responsabile anche della scelta ponderata di Jahlil Okafor nel 2015 prima e di quella di Ben Simmons nel 2016 poi, prima di dimettersi definitivamente dal suo ruolo.
Negli anni successivi, il posto vacante da GM fu occupato da Bryan Colangelo e subito dopo da Elton Brand, i quali si macchiarono di gravi scelte errate nel corso dei loro rispettivi mandati. Il primo infatti, preferì Markelle Fultz a Jayson Tatum, mentre il secondo puntò sulla riconferma di Ben Simmons a discapito del neo arrivato Jimmy Butler. Nonostante ciò, la squadra riuscì quantomeno a partecipare consecutivamente a diverse postseason.
Probabilmente, la decisione di voler rinunciare alle prestazioni dell’ex Bulls e Timberwolves è stata la pietra tombale del progetto fallimentare da parte dei Sixers, poiché da quel momento in poi, la franchigia è stata additata come l’eterna incompiuta. Tra i continui infortuni che hanno colpito la loro superstar Joel Embiid e le gestioni scellerate nei match clou ai Playoff, la franchigia è sempre implosa su sé stessa.
Ad oggi, sono cambiati sia i coach, a partire da Brett Brown, passando per Doc Rivers e terminando attualmente con Nick Nurse, che il President of Basketball Operations, con Daryl Morey che ha sostituito nel novembre 2020 proprio Elton Brand; tuttavia, i risultati non sono cambiati di una virgola, dato che la franchigia non è mai riuscita a superare il secondo turno, al di là della firma illustre di James Harden o dell’esplosione di Tyrese Maxey.
Il bilancio definitivo del “The Process” recita dunque 7 apparizioni in postseason, al netto di 0 Conference Finals raggiunte e di conseguenza anche zero Titoli NBA raggiunti. La finestra temporale del numero 21 nella Lega si sta accorciando di anno in anno, e più il tempo scorre, maggiore sarà la probabilità che alla fine la squadra verrà smantellata per poterla rifondare nuovamente da capo.