La Corsa al Titolo NBA mostra la grande differenza tra Doncic e Tatum

In gara-1 contro i Timberwolves Doncic ha dimostrato di essere un killer mentre Tatum ha faticato contro Indiana

Luka Doncic Mavs

Quindici punti, tre rimbalzi, un assist, 2 palle recuperate e una stoppata. Queste sono le cifre di Luka Doncic nel solo quarto quarto di gara-1 contro Minnesota. Ha tirato 5 su 8 dal campo e 2 su 3 dall’arco, marcato costantemente da Jaden McDaniels o da Anthony Edwards, due dei migliori difensori in 1 contro 1 del pianeta.

Solamente 24 ore prima, a 2250 chilometri di distanza, al TD Garden di Boston, Jayson Tatum concludeva il suo quarto quarto di gara-1 con 4 punti, 3 rimbalzi, 2 su 7 dal campo e 0 su 3 dalla distanza. Una prestazione atroce nel cosiddetto clutch, salvata miracolosamente da una preghiera di Jaylen Brown che ha mandato i Celtics ai supplementari.

Per fortuna sua e del Garden, l’ex Duke ha poi rimediato segnando 10 punti (5 dalla lunetta) nell’overtime, scrivendo una W sulla gara-1 delle Eastern Conference Finals.

La domanda ora è: perché quando i Celtics erano a -4, a pochi minuti dalla sirena, Tatum non ha mai chiesto con insistenza di avere il pallone tra le mani?

Non ci sono dubbi che sia lui il giocatore con più qualità della rosa. Eppure, con soli 8.5 secondi sul cronometro, dalla rimessa la palla è finita ancora una volta nella mani di Brown e non nelle sue.

Jayson Tatum – Big Deuce

Non può essere un caso che Tatum abbia sbagliato ancora una volta nel momento più delicato della partita, con i Celtics sotto nel punteggio. Non può essere un caso che negli ultimi 3 anni (inclusi i Playoff) le sue statistiche nel clutch (negli ultimi 5 minuti con massimo 5 punti di distanza fra le squadre) recitino: 29/78 dal campo (36.5%) e 17/74 da tre (23%).

Domenica notte, quando Boston era con le spalle al muro – in una gara-1 inaspettatamente molto complicata – e i suoi compagni erano in cerca di risposte, di qualcuno a cui aggrapparsi, Tatum non ha mai detto “datemi la palla, ci penso io”. Non ha mai tirato con la consapevolezza che una volta uscito dai suoi polpastrelli quel pallone sarebbe entrato. Una prestazione, ancora una volta, non da miglior giocatore del mondo – titolo a cui potrebbe tranquillamente ambire visti i mezzi tecnici e atletici.

E la stessa identica cosa è successa anche un anno fa: Eastern Conference Finals, avversari (almeno sulla carta) molto inferiori, eppure, anche in quell’occasione, i Celtics si sono sciolti come neve al sole. Jayson Tatum – in tutte e 7 le gare – ha segnato in media nel quarto quarto solamente 4.9 punti con il 36.4% dal campo e il 10% da tre. Un disastro.

I Miami Heat, dall’altra parte, hanno vinto una serie che non avrebbero dovuto vincere: più corti nelle rotazioni, più stanchi, senza un vero playmaker e con il loro leader infortunato. Ma hanno vinto perché a guidarli – non solo dal lato tecnico o statistico – c’era uno psicopatico. Uno che pur di vincere farebbe qualsiasi cosa, anche giocare con una gamba sola o in 4 contro 5. A tutti gli effetti un sadico, reduce da un primo turno in cui aveva martoriato e ridicolizzato il miglior difensore perimetrale della Lega per 5 partite.

Jimmy Butler è senza dubbio un giocatore di basket tecnicamente peggiore di Jayson Tatum, ma ha tutto ciò che gli manca. E per questo, nonostante non abbia mai avuto un squadra migliore di Boston, è quasi sempre arrivato più in alto.

Ogni volta che i Celtics hanno incontrato Miami ai Playoff negli ultimi anni, nell’aria c’era la sensazione che qualcosa potesse andare storto, che a decidere il destino della serie sarebbe stato il volere di un singolo giocatore e di nessun altro. Anche se Boston aveva una squadra migliore, più completa e coperta in tutti e 5 i ruoli.

Ecco, quella sensazione è il killer.

Jimmy Butler lo è, Jayson Tatum (ancora?) no.

Non ho paura di un esercito di leoni guidato da una pecora, ho paura di un esercito di pecore guidato da un leone.

Alessandro Magno

Luka Doncic – il leone dei Balcani

Questa la lista dei giocatori con più punti segnati di media in carriera nella storia dei Playoff NBA:

  • Michael Jordan – 33.4
  • Luka Doncic – 31.0
  • Allen Iverson – 29.7
  • Kevin Durant – 29.3
  • Jerry West – 29.1
  • LeBron James – 28.4
  • Donovan Mitchell – 28.1
  • Anthony Edwards – 28.1

Luka Doncic è il primo essere umano della classifica. L’unico assieme a Jordan a superare quota 30 punti di media in carriera ai Playoff dal 1976 (e per chi esclamerà “Sì ma i punti non sono tutto” specifichiamo che ai 31 lo sloveno aggiunge anche 9.2 rimbalzi e 8.3 assist in 41 partite).

Del fatto che non fosse uno normale ce ne eravamo forse già accorti: nel 2020, quando portò la serie contro Kawhi e Paul George sul 2-2 con una tripla in step-back da 10 metri e chiuse la gara con 43 punti, 17 rimbalzi e 13 assist (a 21 anni…). Oppure nel 2022, quando sotto 2-3 nella serie disse “everybody actin’ tough when they up” (= “tutti fanno i duri quando sono in vantaggio”) per poi rimontare la serie e chiudere i primi due quarti di gara-7 con 27 punti (gli stessi segnati dall’intera squadra dei Phoenix Suns).

Ora, due anni dopo, sono i Timberwolves a non aver avuto risposte contro il nativo di Lubjana in gara-1. Trentatré punti, 6 rimbalzi e otto assist in 41 minuti sul parquet di Minneapolis. Un controllo emotivo, tecnico e mentale della partita che potrebbe avere forse un 32enne dopo 3-4 apparizioni alle Finals, non uno che ha spento 25 candeline a fine febbraio. Un 25enne che seleziona, decide e sceglie i momenti delle partite in cui essere incisivo, e che chiede il pallone in mano quando pesa più di un blocco di roccia carsica.

Una forma mentis che ti impone, quasi come fosse una costrizione, di prendere sempre l’ultimo tiro. Eppure Luka Doncic non ha sempre vinto, anzi: in realtà non è ancora mai arrivato alle Finals. Ma avere un giocatore con questo killer instinct è ciò che serve per vincere. Ha perso e continuerà a perdere, ma se c’è una cosa di cui puoi essere sicuro è che se perderà lo farà lasciando il sangue sul parquet. E avrà voglia di vendicarsi non appena scenderanno dal soffitto i coriandoli coi colori dell’altra squadra.

E’ qualcosa che ha dentro da quando è nato, che non va a finire nelle statistiche, ma che esiste e che nel basket ha sempre deciso il destino di ogni campione. O ce l’hai o non ce l’hai, non si impara.

Dallas ha un roster di tutto rispetto e che può anche sopportare il logoramento fisico a cui va incontro chi gioca contro i Timberwolves, ma non è certo la miglior squadra della Lega. Non lo era a ad aprile, e non lo è neanche ora.

Se a guidare P.J. Washington, Derrick Jones Jr., Dereck Lively e Daniel Gafford, però, ci sono Luka Doncic e Kyrie Irving (un altro che quando il pallone scotta tende a sapere cosa fare), ecco che le possibilità di vincere un Titolo NBA non sono più così sottili.

Quindi… si può vincere un Titolo NBA senza avere un killer? Long story short, la risposta è “no”.

Se i Celtics vogliono davvero appendere il 18esimo banner hanno bisogno che Tatum dimostri una volta per tutte di essere fatto dello stesso materiale di Kobe Bryant, Larry Bird e Michael Jordan.

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