Step Back 01: La settimana NBA in 5 (s)punti
Nel primo episodio di Step Back per la stagione NBA 2024/25, approfondiremo le performance di Anthony Davis, l’andamento dei Celtics e dei Bucks, l’evoluzione di Evan Mobley e il potenziale dei Thunder
Ciao a tutti, e benvenuti al primo numero di Step Back, la newsletter che ogni lunedì vi invita a fare un passo indietro – uno Step Back, appunto – per rivivere la settimana NBA appena conclusa attraverso 5 (s)punti selezionati dal nostro Simone Geremia.
Questo numero rappresenta una sorta di speciale anteprima, ma dal prossimo lunedì questo contenuto – che verrà inviato via email come newsletter – sarà riservato esclusivamente agli utenti in possesso del Fantasy Pass su Dunkest. Bando alle ciance, cominciamo!
1. Con questo Anthony Davis, i Lakers possono ambire ai Playoff
Dal 2010-2011, ai tempi di Phil Jackson e Kobe Bryant, i Los Angeles Lakers non erano mai riusciti a partire col piede giusto: quell’anno vinsero le prime otto partite di Regular Season, ma nelle tredici stagioni successive non erano mai riusciti a ottenere due vittorie a inizio stagione. Oggi, però, il record segna 3-0, nonostante un calendario complicato che li ha messi alla prova contro Timberwolves, Suns e Kings, in un ambiente che sembra aver accolto con entusiasmo l’arrivo di coach JJ Redick e un Anthony Davis in versione super.
34 punti di media, con una leadership e una presenza costante su entrambi i lati del campo che non si vedevano da tempo. Se AD continuerà su questa linea, LeBron James potrebbe permettersi qualche turno di riposo in più, e i Lakers potrebbero affrontare una stagione regolare decisamente più serena rispetto alle recenti annate.
2. L’attacco dei Celtics è incontenibile
La stagione dei Boston Celtics è iniziata sulla falsariga di com’era finita la scorsa: vincendo e dominando le partite con la solita arma, il tiro da 3. Sebbene l’assenza di Kristaps Porzingis tendenzialmente restringa in parte il range offensivo della squadra di coach Mazzulla, elementi preziosissimi come l’esperto Al Horford e l’imprevedibile Payton Pritchard non stanno facendo rimpiangere il lettone.
Ma la vera arma in più, come detto, è il tiro dall’arco, tentato stabilmente più di 40 volte a partita con percentuali che ballano intorno al 40%. Se a ciò aggiungiamo che i Celtics sono bravi come nessun altro in NBA a riempire gli spazi che si creano dopo aver allargato il campo, soprattutto grazie alle continue penetrazioni di Jayson Tatum e Jaylen Brown, l’attacco diventa a tutti gli effetti incontenibile.
3. … mentre quello dei Bucks e dei Kings è lento e prevedibile
A fare da contraltare ai campioni in carica ci sono Milwaukee e Sacramento, due franchigie che hanno puntato sul ciclo imbastito nelle precedenti stagioni, ma che faticano tremendamente a trovare continuità. 1 vittoria e 2 sconfitte per i Bucks; 3 sconfitte su 3 per i Kings, entrambe alle prese con un attacco completamente privo di ritmo.
Per i Bucks, la farraginosità è dovuta al tempo eccessivo in cui la palla sosta tra le mani di Lillard e Antetokounmpo, che sono partiti col piede giusto dal punto di vista realizzativo, ma non sono mai riusciti a far entrare a regime i compagni, inceppando irrimediabilmente un attacco già particolarmente caotico. A Sacramento invece, il pace della squadra è crollato — nonostante fosse già tra i più bassi della lega nella passata stagione — con l’aggiunta di un altro animale da isolamento come DeMar DeRozan, che fa il paio con De’Aaron Fox per azioni giocate e mattonelle calpestate. Da entrambe queste squadre, date le premesse, ci aspettavamo qualcosa in più.
4. Le speranze dei Cavs passano dalla crescita di Mobley
Nonostante il cambio alla guida, l’idea di base del quintetto di Cleveland è ancora la stessa: due playmakers come Garland e Mitchell, un’ala polifunzionale e due torri come Allen ed Mobley. Proprio Mobley è l’elemento di volta del futuro prossimo di questi Cavs: se tante squadre ai Playoffs faticano a tenere in campo anche un solo centro, l’idea di gestirne due di grosso calibro sembra — sembrava? — impensabile. Da qui la scelta dello staff di responsabilizzare Mobley, concedendogli molti più possessi da gestire per tramutarlo in un’ala a 360 gradi.
Il risultato è promettente: 18 punti a partita che, pur incrementando leggermente le sue medie, suggeriscono un’evoluzione di gioco che potrebbe portare frutti significativi nel tempo. Le 7 triple tentate nelle prime 3 partite (mai meno di 2 a gara, mentre l’anno scorso segnava spesso uno 0) indicano chiaramente il cambiamento in corso nell’impiego di Mobley. Se riuscirà a compiere un salto di qualità anche dal punto di vista mentale, aspetto che in passato ha spesso rappresentato un limite, i Cavs potrebbero finalmente aver trovato in lui il franchise player di cui hanno bisogno.
5. Il rendimento difensivo dei Thunder è strepitoso
Essere uno dei roster più giovani e avere uno dei migliori giocatori della Lega può distorcere la percezione di questi Thunder. L’oro di OKC non è Shai Gilgeous-Alexander con i suoi 30 punti di media, né Chet Holmgren, che al secondo anno effettivo di NBA conta 23.7 punti e 13 rimbalzi, ma il rendimento difensivo. Con soli 95.3 punti concessi agli avversari, OKC è prima dopo 3 partite per rating difensivo e terza per rimbalzi, circa 49 a gara.
Contro gli Hawks, OKC ha cambiato marcia nel quarto periodo chiudendo gli spazi e trasformando ogni recupero in rapide transizioni che la difesa di Quinn Snyder non è riuscita a contenere, generando un parziale decisivo di 21 punti. Questo mostra l’impatto del lavoro di coach Daigneault, che sta plasmando una squadra quasi impeccabile. Se a ciò aggiungiamo che due difensori d’élite come Caruso e Hartenstein (sta recuperando) devono ancora inserirsi pienamente…