La “Cultura degli Highlights” sta distruggendo la NBA

Esploriamo le ragioni dietro la crescente preoccupazione della NBA per il calo di interesse nei confronti dei suoi prodotti

USA Today LeBron James Los Angeles Lakers NBA

In un ottimo articolo caricato di recente, è stato trattato l’importantissimo tema del calo di interesse nei confronti della NBA, con dati di pubblico crollati tragicamente dall’inizio della stagione, che deve le sue radici a problemi evidenti da anni e mai affrontati.

Nonostante la crisi abbia attecchito anche nel più intrigante periodo di Playoffs, è evidente che il nodo principale riguardi la Regular Season, ormai considerata alla strenua di una lunga e pallosa trafila di amichevoli, in cui i giocatori si preoccupano, per loro stessa ammissione, di statistiche personali e di tutelare la propria forma fisica, in vista dei momenti clou.

Less is more!

Avete idea di quante siano 1.230 partite di pallacanestro? Si tratta del numero complessivo di partite previsto dalla Regular Season NBA, 15 a giornata per 82 giornate complessive. Ora vi sottoponiamo un altro dato, magari meno familiare: sono 380 le partite totali disputate in una stagione di Serie A (o di qualunque campionato a 20 squadre) di calcio: se già si fa fatica a vendere un prodotto ben più radicato nella cultura popolare come quello calcistico, con una mole di gare infinitamente minore e sicuramente meglio “diluite” nel corso dei weekend, pensate come possa apparire il numero di impegni previsti giornalmente dalla NBA.

La sensazione è che quasi la metà delle partite annuali di NBA sia di troppo, poiché, tra load management, infortuni, e scarsa qualità di pallacanestro, accendere il proprio servizio di streaming e sperare di beccare un match godibile sta diventando sempre più difficile. Invece di pensare ad aumentare compulsivamente il numero di squadre nella lega o aggiungere il mal digerito In-Season Tournament, basterebbe una rapidissima riflessione per capire che la direzione intrapresa dalla reggenza di Adam Silver non è quella giusta.

Troppo garbage time

Nelle prime 71 partite giocate, che coprono il periodo dal 22 ottobre, data di inizio della RS, al 31 ottobre, addirittura 20 sono finite nel cosiddetto garbage time, un’ampia porzione di gara disputata senza titolari in campo e senza alcuna forma di competitività a causa di uno scarto troppo ampio scavato fra le due squadre.

Si parla del 28.1% di situazioni di garbage time allo stato attuale delle cose, media già di per sé altissima e destinata ad aumentare; le motivazioni sono facilmente intuibili, perché sono sempre le stesse: pensate ad esempio ai Sixers, che hanno scelto deliberatamente di fare a meno di Joel Embiid e stanno tirando per le lunghe la degenza di un Paul George che era in condizione di giocare già dalla prima sera.

Se ci aggiungiamo che, tra infortuni e scarse ambizioni di franchigia, molte squadre molleranno la presa sulla Regular Season con il passare della stagione, prepariamoci a vedere scarti medi sempre più ampi.

L'”evento-partita” dura troppo

I 48 minuti di basket sembrano nulla rispetto ai 90 di una partita di calcio, conditi da un quarto d’ora abbondante di intervallo e un’ulteriore manciata di tempo di recupero, ma analizziamo meglio la gestione del tempo durante l’evento.

L’aumento esponenziale di inserzioni pubblicitarie e interruzioni arbitrali ha ridotto di parecchio la concentrazione di pallacanestro durante l’evento: si parla, secondo questa ottima indagine statistica, del misero 37%, poco più di un terzo.

Disporre di quasi 130 minuti per guardare una partita, sapendo che il gioco effettivo ne impiegherà solo 48, risulta molto poco digeribile. Parlavamo nel titolo di ‘cultura degli highlights‘, riferendoci alla tendenza, sempre più diffusa, di un generalizzato calo dell’attenzione dell’utenza, che si traduce nella necessità di raccogliere più informazioni possibili in una ristretta quantità di tempo.

Quante volte, aprendo Instagram al mattino dopo una nottata NBA, vi capiterà di vedere fiumi di highlights, riassunti dei momenti chiave e clips delle migliori giocate? E soprattutto, dopo aver guardato una compilation con tutti i canestri segnati da questo o quel giocatore, i momenti clutch e le interviste di una partita, vi viene voglia di rivederla on demand in un secondo momento, per cogliere magari l’aspetto tattico che dai pochi secondi di video vi sfugge?

Conosciamo già le risposte a queste domande, perché, come dimostrano i numeri che sta analizzando in questi giorni l’NBA, sono comuni più o meno a tutti gli appassionati di basket a livello globale.
Data l’abbondanza di contenuti multimediali da cui siamo bombardati, finiamo per averne quasi la nausea e rigettiamo la visione per intero della partita.

Per chiudere il cerchio, il calo di interesse non riguarda solo il basket oltreoceano, ma più in generale tutti i movimenti sportivi (probabilmente con la sola eccezione di tennis e surrogati…), quindi la notizia non dovrebbe sorprenderci più di tanto.

Tuttavia, come detto l’NBA è sempre stata un modello virtuosissimo di business e fa specie che persino lì venga percepito il pericolo, ma probabilmente, a furia di sentirci ripetere dagli addetti ai lavori che “è solo Regular Season”, abbiamo iniziato a crederci davvero anche noi.

Leggi anche

Loading...