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Questi Warriors 2.0 sono più forti del previsto

Sulle coste della California è già iniziata una nuova era e non è detto che la dinastia Dubs abbia già scritto il suo ultimo capitolo

Bastano sostanzialmente due numeri per raccontare il fantastico inizio di stagione dei Golden State Warriors: -2.41 e 28.66, il primo è il Net Rating (differenza tra punti segnati e subiti ogni 100 possessi) con Steph Curry e Klay Thompson in campo nella scorsa stagione, il secondo è quello di quest’anno con Steph Curry e Buddy Hield.

Cifre che sommate – in valore assoluto – fanno poco più di 31. Una differenza più che abissale, soprattutto se i ragazzi di Kerr vogliono regalarsi la possibilità di salire, ancora una volta, sul gradino più alto della NBA.

Sulle coste della California è già iniziata una nuova era e non è detto che la dinastia Warriors abbia già scritto il suo ultimo capitolo.

Il Sistema Hegeliano di Steve Kerr

“Ciò che è parziale, delimitato, incompleto, in breve ‘finito’, non gode di una sua propria e autonoma esistenza. È una non-realtà che diventa comprensibile solo ‘risolvendosi’ nell’infinità”.

Un breve riassunto del concetto di finito-infinito della filosofia di Hegel, uno dei pilastri della teoria del filosofo tedesco vissuto tra fine ‘700 e inizio ‘800.

E per spiegare il fantastico – e inaspettato – inizio di stagione di questi Warriors, prima di addentrarci in questioni tattiche, possiamo utilizzarlo senza voli pindarici: come fa una squadra che ha 13 giocatori con più di 10 minuti di media ad essere seconda ad Ovest?

Come è possibile, in una NBA in cui le squadre ruotano sempre più attorno alle superstar, avere il quarto miglior Net Rating (dopo Thunder, Cavs e Celtics) con un solo All-Star – che gioca anche meno di 30 minuti a partita?

Chiedere a Steve Kerr, che il suo “E = mc2” lo ha trovato tempo fa. Progettando una squadra dal gioco corale sinfonico, a tratti perfetto, dove ognuno fa quello che sa fare meglio e soprattutto lo fa coordinandosi con gli altri 4 in maniera quasi telepatica.

Non importa chi c’è in campo, l’importante è cosa fa e come lo fa: dopo 13 partite Golden State ha già 38 quintetti diversi con almeno 10 possessi giocati.

Una squadra hegeliana, un quintetto che sembra avere un unico sistema nervoso. Pin-down, slip, short-roll, hand-off e backdoor eseguiti con un margine di errore massimo di pochi centesimi di secondo.

Il finito che prende senso nell’infinito – in questo caso un giocatore come Gary Payton II che a 31 anni, dopo anni passati da 12esimo uomo in squadre da lottery, torna ad essere fondamentale nel sistema Warriors (come nell’anno del titolo).

L’impatto di Buddy Hield

Per quale motivo Golden State sta facendo molto meglio dello scorso anno? La risposta è semplice: Buddy Hield.

Giocatore creato in laboratorio su chiare indicazioni di Steve Kerr per sostituire Klay Thompson: per ora, dopo le prime 13 partite di regular season, siamo a quota 55,9% da tre in catch-n-shoot (su 5,2 tentativi a partita) – il secondo (minimo 4 tiri di media) è Derrick White con poco più del 49%.

Un’anomalia statistica. Un cecchino che si è già adattato perfettamente al sistema di Kerr e che sembra aver trovato davvero la sua dimensione ideale dopo anni di avventure non andate a buon fine.

Il compagno perfetto di quella che può essere definita “la” anomalia statistica: avere Steph e Buddy contemporaneamente in campo, in attacco ti permette di avere costantemente due avversari fuori dall’azione.

O – tra le altre cose – di giocare un pick-n-roll sul lato forte con l’angolo occupato.

Non è un ottimo difensore, sicuramente più valido rispetto al Klay delle ultime stagioni (non quello dei primi 3 titoli, ovviamente), ma la cosa più importante è che permette a Kerr di far respirare Steph. In attacco, quando Curry non c’è, guida la second unit perché sa come creare tiri per sé e per i compagni.

E anche per questo – statisticamente – la coppia Curry-Hield ha un’efficienza e una produzione offensiva (Offensive Rating = punti segnati ogni 100 possessi con loro due in campo) maggiore rispetto a tutte le stagioni degli Splash Bros.

La nuova identità difensiva

Ok, l’attacco è migliorato, ma con Steph Curry è relativamente facile pensare e modellare attorno a lui una squadra offensivamente efficiente. Ora la domanda è: come si fa ad avere una difesa di quel livello (dietro solo a OKC, Orlando e Houston per rating) senza avere gli interpreti giusti? Senza Dort, Caruso, Chet o Suggs?

Secondo Draymond Green la risposta è Jerry Stackhouse, l’assistant coach che si occupa soltanto della metà campo difensiva aggiunto allo staff di Kerr in estate:

Ha dato ai ragazzi un livello di fiducia e di responsabilità che non abbiamo avuto negli ultimi anni. Lui parla solo di quello, mai di attacco. Solo difesa. È concentrato su cosa fanno i ragazzi in ogni singola azione

Draymond Green

Le parole sono utili ma non bastano, i dogmi introdotti da Jerry (ex cestista NBA e allenatore del college) nella metà campo difensiva sono principalmente due: blitz sui pick-n-roll (per evitare mismatch con Curry sul miglior attaccante avversario) – di conseguenza niente switch automatico – e soprattutto aiuto con mani veloci.

E grazie a questi principi, Golden State è:

  • 1ª per tiri contestati (42.2)
  • 1ª per sfondamenti subiti (1.38)
  • 2ª per palloni deviati (20.4)
  • 3ª per palle rubate (10.0)
  • 4ª per defensive rating (107.3)

Ed è quel 107.3 che fa la differenza per Steve Kerr: era dalla stagione del Titolo del 2021-22 che i Warriors non erano nella top 5 per defensive rating.

Sarà sostenibile nel lungo periodo e soprattutto in tempo di Playoff? Probabilmente no, ma mai scommettere contro una squadra che ha quello con la faccia da bambino.

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