Bucks alle NBA Finals: sogno o scenario concreto?
Dopo la vittoria della NBA Cup, molti hanno inserito i Bucks tra i favoriti per il titolo NBA. Ma è davvero così?
Si sa, in NBA (e nello sport in generale) il vento cambia rapidamente: da squadra allo sfascio, corta nelle rotazioni e con il miglior giocatore pronto a fare le valigie (non si sa dove poi, a meno di soluzioni fantasiose) i Milwaukee Bucks, grazie ad un paio di vittorie convincenti, sono tornati ad essere una corazzata, incensata da tutti dopo aver vinto una NBA Cup che – al momento – vale il giusto.
Nel deserto accade spesso di incappare in qualche miraggio, un effetto ottico causato dalla rifrazione della luce che permette di vedere qualcosa che nella realtà non c’è.
E nel Mojave Desert che circonda Las Vegas (dove si sono giocate semifinale e finale del torneo vinto dai Bucks) i ragazzi di Doc Rivers sono tornati a vedere in modo chiaro – anche se in lontananza – le NBA Finals.
Ma si è trattato solamente di un miraggio o trascinati da Giannis e Lillard (la miglior coppia offensiva di tutta la NBA) i Bucks possono davvero tornare alla terra promessa?
Come hanno battuto i Thunder
Molto passa dalla prestazione mitologica di Giannis Antetokounmpo (26 punti, 19 rimbalzi, 10 assist), non la prima di questa stagione in cui sta giocando probabilmente il miglior basket della sua carriera.
Cifre a tutti gli effetti da MVP (quello della NBA Cup lo ha già portato a casa), ma il numero che ha indubbiamente condizionato la partita è stato un altro: 15.6%.
I Thunder hanno chiuso la gara con 5 su 32 da tre (15.6%), una percentuale inaccettabile perché poi, in fondo, il basket è uno sport semplice: non importa che difesa tu abbia (OKC ha per distacco la migliore in NBA) se non segni non vinci. E i ragazzi di Daigneault – soprattutto nel terzo quarto – non l’hanno mai fatto.
Chiudere un primo tempo in cui hai segnato 1 tripla su 17 sul 51 a 50 dovrebbe far comprendere anche ai meno attenti che questi Thunder fanno davvero paura. Martedì è andato praticamente tutto storto (anche per meriti di Milwaukee) ma è difficile che ad aprile accada 4 volte in una serie al meglio delle 7.
Ad OKC, secondo molti esperti, è mancata l’esperienza per risolvere una partita in cui avevano relativamente poche soluzioni offensive (quella che dall’altra parte avevano Giannis e Lillard). Ma in realtà alla squadra di Daigneault è mancata solo una “cosa”: Chet Holmgren (indisponibile fino al 10 febbraio 2025).
Non tanto nella metà campo difensiva (nonostante sia un ottimo difensore e rim protector) dato che questo Giannis in 1v1 non può essere arginato da nessuno, ma in quella offensiva perché avrebbe completamente modificato l’approccio di OKC e quello di Milwaukee.
Con Hartenstein in campo, i Bucks sono tornati a fare ciò che conoscono meglio: drop coverage. Brook Lopez non doveva minimamente preoccuparsi dell’ex Knicks (lasciato spesso con chilometri di spazio dietro la linea da tre) e poteva aiutare sulle penetrazioni di Shai, togliendo al canadese la sua arma migliore (è primo per drives e punti da penetrazione in tutta la NBA).
E anche nel caso in cui Lopez veniva saltato, c’era Giannis pronto a dare una mano in extremis – che Doc Rivers aveva sapientemente messo in marcatura su Lu Dort (il più “battezzabile” tra i tiratori di Oklahoma, ha chiuso con 0/4 da tre).
Ricapitoliamo:
- Hanno tenuto Milwaukee sotto i 100 punti nonostante due ottime prestazioni di Giannis e Lillard
- Hanno costretto i Bucks a perdere 19 palloni (loro solamente 10)
- Non avevano il loro jolly, la regina dello scacchiere di Daigneault che avrebbe costretto Milwaukee a giocare senza Lopez o a concedere metri di spazio ai tiratori
- Shai ha giocato una delle sue peggiori partite della stagione (ha chiuso il primo tempo con 4 su 13 dal campo)
- Hanno sbagliato 16 triple su 17 nel primo tempo, di cui molte wide open
E in tutto ciò… hanno chiuso i primi 24 minuti sotto solamente di 1 punto.
Auguri a chi dovrà affrontarli al completo in una serie da 7 partite.
I Bucks sono davvero una contender?
Più no che sì. Il grande percorso in NBA Cup (7 vittorie e 0 sconfitte) sovrascrive il pessimo inizio di stagione ma non cancella alcuni dei limiti più evidenti di questa squadra – tra cui la mancanza di difensori perimetrali, la difficoltà nell’arginare attacchi five-out e che giocano con un ritmo alto (come Indiana o Boston).
Andre Jackson Jr., schierato finalmente in pianta stabile da Doc Rivers, è stata una giovane gemma nel quintetto polveroso e datato di Milwaukee. E contro Shai Gilgeous-Alexander ha fatto un ottimo lavoro, assumendo il ruolo che aveva Jrue Holiday a Milwaukee.
A tutti gli effetti una ventata di aria fresca all’interno di un quintetto più im-mobile che mobile, anche se in tempo di Playoff i limiti offensivi dell’ex UConn potrebbero essere deleteri per tutta la squadra. Finché Taurean Prince tirerà col 51.6% da tre (il migliore in NBA), però, non dovrebbero esserci molti problemi.
Anche secondo i numeri, Milwaukee è tuttora una squadra da “middle of the pack”, soprattutto in difesa dove anche nelle ultime 10 partite hanno concesso 111.8 punti per 100 possessi (15esimi in NBA). Non è un caso se anche secondo le analytics più avanzate hanno solamente l’1.1% di possibilità di vincere il titolo (Celtics e Thunder hanno più del 26%).
Negli ultimi due giorni le pagine dei quotidiani sportivi si sono riempite di discorsi celebrativi e scatti di festeggiamenti con il trofeo in mano, ma a Milwaukee la realtà è ben diversa e non tutto luccica come la NBA Cup.
Il futuro non c’è (la prossima scelta disponibile al Draft è del 2031) e la situazione salariale è da mani nei capelli (il prossimo anno Giannis e Lillard sommati guadagneranno più di 108 milioni di dollari – il 67% di tutto lo spazio salariale).
Nonostante degli incoraggianti segni di ripresa, culminati con il trionfo di martedì notte, la realtà è che questa squadra è molto più vicina al nadir rispetto allo zenit.