Breve storia di LeBron James
Riviviamo insieme la sua vita, le sue stagioni NBA e addentriamoci nel regno di LeBron James
Il 30 Dicembre del 1984 non è un giorno come gli altri, Akron è una città fredda, ma quella volta sembra che la temperatura non conosca limite minimo e continua a scendere. Nel City Hospital, una giovanissima Gloria, sola e minorenne, è pronta a partorire un pargolo che cambierà la storia non solo della pallacanestro, ma dello sport e degli Stati Uniti.
A poco più di 24 ore dall’arrivo del nuovo anno, la ragazza madre da vita ad uno splendido fanciullo: il suo nome è LeBron Raymone James.
Il mistero paterno e il primo canestro
Gloria James non era affatto una donna semplice: nomade di indole, problemi con la legge, qualche compagnia sopra le righe, ma soprattutto uomini sbagliati. La leggenda vuole che sia tale Anthony McClelland ad aver concepito il bambino, però come ogni rapporto occasionale che si rispetti, l’obiettivo era prendi e fuggi non certo quello di tirare su una famiglia da squattrinati e con una sedicenne appena conosciuta. Sarà il rimpianto più grosso della sua vita.
Avvolto dal mistero di chi fosse realmente il proprio padre, LeBron cresce amato ogni singolo giorno, nonostante il carattere difficile di mamma James, i due vivono in simbiosi e non si abbandonano mai, motivo per cui The Kid from Akron è così legato alla figura materna. A soli 3 anni uno dei compagni della madre gli regala un piccolo canestro con cui fare pratica tenendo in mano una palla a spicchi e distogliendolo dallo sport che LBJ preferiva di più: il wrestling.
Da quel Natale, si insinua nella mente del bambino il solo obiettivo di diventare un giocatore di basket e da quella pallina e da quel canestro non si separerà mai.
The Chosen One
La crescita di LeBron è esponenziale sotto ogni aspetto: lucido nelle scelte che compie nel suo percorso scolastico e sportivo, non pecca di presunzione, si tiene lontano dai guai e non risente minimamente dei numerosi spostamenti obbligati compiuti con la madre. Al liceo diventa una stella della pallacanestro tanto quanto una stella del football americano.
La regia del gioco è il suo pane quotidiano, il suo QI è elevato in entrambi gli sport, può giocare in cinque ruoli sul parquet, così come passare da quarterback a running back o da wide receiver a tight end. Alla St. Mary St. John’s accorrono numerosi per vedere – come si dice negli USA – “The Next Big Thing”, la prossima grande cosa, o meglio “The Chosen One”, il prescelto.
LeBron James diventa il primo liceale ad apparire sulla copertina di Sports Illustrated, il suo nome compare in cima alla lista del Mock Draft NBA 2003, c’è solo un piccolo problema: il ragazzo è tra le prime scelte anche nel Mock Draft NFL e solo i suoi compagni di squadra lo convinceranno al foto finish a scegliere la pallacanestro per costruire il suo regno.
Durante l’estate, LBJ decide che sarà la palla a spicchi il suo futuro e finito il liceo si dichiara eleggibile per la prossima lottery, diventando uno dei più giovani giocatori di sempre ad entrare nella NBA e successivamente uno degli sportivi più pagati di sempre.
Mistake On The Lake
A sceglierlo, come da pronostico, con la numero 1 al Draft 2003 sono i Cleveland Cavaliers. La squadra della città vicino a dove è nato e cresciuto il futuro numero 23. Seduto nella green room in completo bianco e al fianco delle due donne che hanno riempito la sua vita (mamma Gloria e la futura moglie Savannah), LeBron diventa ufficialmente un giocatore della NBA.
Su di lui le aspettative sono altissime e a dimostrarlo sono gli oltre 17mila spettatori giunti alla Arco Arena di Sacramento per vederne il debutto.
I Cavs come di consueto perdono, ma il 18enne in maglia granata non è un giocatore normale, non è solito vedere un fenomeno di queste dimensioni giocare per la franchigia dell’Ohio. Il suo tabellino recita 25 punti, 6 rimbalzi, 9 assist, 4 palle rubate e il 60% dal campo. No, a Cleveland di sicuro non si era mai visto niente del genere.
Le prime Finals le disputa nel 2007, fino ad allora lui e i suoi compagni avevano mancato la post-season una sola volta, il numero 23 in appena quattro stagioni contava nel palmarés già diversi riconoscimenti tra cui Rookie of the Year, MVP degli All-Star Game e le selezioni nei quintetti All-NBA. La serie contro gli Spurs non ha storia e si chiude con un rotondo 4-0 per i texani, ma LeBron sa di aver fatto numerosi passi avanti e vuole portare il titolo a casa.
Per due stagioni consecutive (2008-2009 e 2009-2010) viene insignito del premio di MVP della Lega, i Cavs sono diventati una delle squadre da battere, non più lo zimbello della NBA e lui è già entrato nell’Olimpo.
Tutto l’universo della pallacanestro sogna una finale contro Kobe Bryant con il passaggio di testimone tra i due, ma ancora una volta sebbene lui sia pronto a vincere l’anello, non vale lo stesso per i compagni da cui è circondato.
South Beach
Stufo di perdere e di sentirsi un leone in gabbia, il Re decide di dare una svolta alla sua carriera, i premi individuali sono nulli se non portano ad un titolo. La data dell’8 Luglio segna in modo imprescindibile il futuro della Lega e scrive una storia controversa dello sport. LeBron James, attraverso “The Decision“, un’intervista live su ESPN durata oltre un’ora e mezza, annuncia il suo passaggio ai Miami Heat, tradendo la fiducia della sua città natale e scioccando tifosi e telespettattori.
In Florida i fantasmi di essere considerato un eterno perdente si palesano dopo le finali del 2011 perse contro i Mavericks. LeBron viene cancellato da Jason Terry e una serie che li vedeva favoriti si trasforma in un vero e proprio incubo, portandoli alla disfatta.
Dalla stagione seguente però comincia il programma di redenzione per il Prescelto. I Miami Heat dominano incontrastati la Eastern Conference, il trio composto da LeBron, Wade e Bosh è straripante e il loro gioco non ha precedenti. Cancellano dalle contender i Celtics, finalisti fino a pochi anni prima, fanno dimenticare i Bulls di un abbacinante Derrick Rose e si apprestano a dominare la NBA. James vince per due anni consecutivi il titolo di MVP e il titolo NBA (2012 e 2013), a South Beach si respira la tipica aria estiva di chi passeggia in bermuda e infradito. Il numero 23 è ufficialmente nella lista dei vincenti, in ottima compagnia.
L’ultimo anno ha il sapore dell’addio, LeBron si è tolto la soddisfazione del trionfo, ma sente che il suo cammino non sarà mai completo senza un’impresa degna di nota. Le sue quarte Finals consecutive si infrangono sul muro nero-argento degli Spurs, un 4-1 che gli ricorda la disfatta del 2007 con i suoi Cavaliers. Suoi esattamente, perché quella è casa sua e lì ha bisogno di consacrarsi.
I’m Coming Home
Sulle note di “I’m Coming Home” di Skylar Grey, accolto come il figliol prodigo, LeBron James torna a Cleveland. Il suo sogno è quello di portare un titolo nella città che lo ha cresciuto, che lo ha reso il giocatore più chiacchierato e più forte in attività. La città dell’Ohio è tutta ai suoi piedi e lui promette di portarla sul tetto del mondo almeno una volta, perché glielo deve, perché è grazie a lei se oggi ha questo status.
La rivalità contro i Golden State Warriors è una delle più belle mai viste, molti la ricollegano a quella tra Lakers e Celtics dei primi anni ’80, altri la reputano migliore. La lotta è senza esclusione di colpi, la squadra di Curry e Thompson ha cambiato radicalmente il gioco, dall’altro lato il trio James, Irving e Love ha fame di vittoria e di rivalsa, in un contesto da sempre considerato perdente. Il culmine della contesa arriva il 19 Giugno 2016, dopo una clamorosa rimonta da 3-1, i Cleveland Cavaliers arrivano a gara-7 delle Finals con in testa un solo obiettivo: vincere.
Quando Iguodala riparte in contropiede non si aspetta in nessun modo di trovare un uragano abbattersi contro il suo pallone. La stoppata sulla chase down da parte di LeBron James riscrive ogni legge del gioco e della fisica. Il titolo è dei cavalieri e il numero 23 non può che ringraziare il suo popolo al grido di “Cleveland, This Is For You!“
The King of L.A.
Otto finali consecutive sono un numero impressionante per qualsiasi giocatore, ma LeBron non riesce a togliersi dalla testa il fatto di aver vinto solo 3 titoli NBA. Il saldo negativo nel computo delle finali vinte e delle finali perse non lo lascia tranquillo, sa di essere il migliore, ma non il più vincente.
I tempi sono maturi per salutare ancora una volta il freddo stato dell’Ohio, questa volta non è un tradimento, l’accordo tra LeBron e Cleveland era quello di portarli almeno una volta in cima alla montagna e di questo, la città e la franchigia, gli saranno sempre grati. La sfida più eccitante ora è nella Western Conference, il selvaggio ovest è terreno inesplorato per il numero 23, l’obiettivo è diventare il primo tre volte Finals MVP con tre squadre diverse.
Los Angeles sa essere malefica e la vicinanza ad Hollywood necessita di creare uno scenario dal sapore cinematografico. Il primo anno in giallo-viola è un fallimento completo: niente Finals, niente play-off interrompendo la striscia di apparizioni consecutive del ragazzo di Akron in post-season, record negativo nella stagione regolare e un brutto infortunio all’inguine che lo tiene fuori dal campo per parecchie partite. Gli spettri della vecchiaia e del fallimento si parano davanti al cammino di LeBron James, le domande sorgono spontanee sia a lui sia agli addetti ai lavori.
Forse LBJ è troppo vecchio, i Lakers sono destinati a fallire e la sua carriera a chiudersi con un’onta senza eguali. Nell’estate del 2019, un’immagine di lui a fumetti dentro una camera iperbarica viene postata sui social. La didascalia recita “Revenge Season“, la stagione della vendetta è in arrivo.
Attraverso una trade tra la squadra californiana e i Pelicans, alla corte del Re arriva Anthony Davis, il duo si trova alla perfezione e sembrano entrambi inarrestabili, niente può mettersi di fronte a due uomini in missione. La stagione si ferma a causa della pandemia, si ritorna a giocare dentro una bolla e senza spettatori, il clima è teso, scendere in campo ha un sapore diverso, mette i brividi, anche a causa dei disagi interrazziali che sta vivendo il paese. Per la NBA “the show must go on” e si continua, Davis e James continuano il loro cammino e ai play-off sono inarrestabili.
LeBron diventa campione NBA per la quarta volta, così come per la quarta volta si laurea MVP delle finali e come desiderato, vince con la terza squadra diversa in meno di dieci anni.
Giunto alla stagione numero 20 della sua carriera e le 40 primavere sempre più vicine, il Re non ne vuole sapere di ritirarsi. Di fronte a sé l’obbligo di mantenere alto lo status della sua legacy oltre a quella dei Los Angeles Lakers. Superato Kareem Abdul-Jabbar come miglior realizzatore della storia non resta che aspettare il debutto del figlio Bronny Jr, forse l’ultimo obiettivo per concludere una carriera (quasi) perfetta e perché in mezzo ai tanti record infranti è giusto che ci sia una prima volta: padre e figlio insieme sul parquet.
E anche quel giorno: ‘We Will Be All Witnesses’
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