Becky Hammon: la prima donna Head Coach in NBA

Grazie all’espulsione ai danni di Popovich, l’assistente degli Spurs è diventata la prima donna ad allenare una franchigia NBA

Becky Hammon

Quando nasci e decidi che la tua vita sarà d’esempio per molti, non lo fai solamente con la carriera che deciderai di intraprendere, devi avere un caos interiore che ti permette di ragionare fuori dagli schemi.

Questo deve essere ciò di cui è costituita la testa di una delle più grandi interpreti del basket femminile, adesso vice-allenatore degli Spurs, Becky Hammon.

Evoluzione, non rivoluzione

Non vogliamo parlare di rivoluzione, piuttosto di evoluzione. Non vediamo al colore rosa come qualcosa di strettamente femminile per distinguere i due generi. Mettiamo in risalto l’ambizione, le capacità e la mentalità guerriera di chi, in un mondo maschilista, riesce a far sentire la propria voce. Quella della ex-giocatrice delle San Antonio Stars non è una voce flebile, la sua ha una eco che riecheggia anche a chilometri di distanza.

La nativa del South Dakota ha una delle storie più romantiche della pallacanestro targata WNBA, parte in salita subito dopo il college, perché nessuno la nota, non c’è anima a darle una chance di dimostrare quanto sia effettivamente funzionale al gioco.
L’occasione arriva dalle New York Liberty, che le riservano un posto come backup di Teresa Wheaterspoon (attuale assistente di Stan Van Gundy ai Pelicans) e nel suo anno da Rookie dimostra il suo gioco bivalente, coprendo egregiamente entrambi i lati del campo.


Prima di diventare una pedina fondamentale ed entrare effettivamente negli schemi delle squadre ha bisogno di qualche anno, per la precisione nel 2003, quando viene selezionata per la prima volta agli All-Star Game. Con la stessa franchigia di New York ne conquisterà altre due, prima di chiudere la carriera con un totale di sei chiamate totali, tre delle quali con la squadra femminile di San Antonio.

Niente più guerra fredda

La personalità della Hammon si fa notare non solo nel paese a stelle e strisce, ma anche oltreoceano. Quando il campionato si ferma, lei non è intenzionata a fare lo stesso e per questo viaggia in giro per il mondo. La sua prima tappa è in Italia, dove indossa la maglia del Rovereto per una stagione; segue il pellegrinaggio (tra una stagione e l’altra di WNBA) in Spagna, con le divise di Rivas Ecopolis e Ros Casares Valencia; infine trova il suo ambiente perfetto in Russia. Becky è una donna di ghiaccio, non a livello sentimentale o di emozioni, semplicemente è in grado di controllare il tempo e ragionare con freddezza nelle situazioni più complicate durante la partita.

Ad accoglierla prima ci pensa il CSKA Mosca, poi l’Orenburg e lo Spartak Mosca. Non porterà a casa nessun trofeo, ma quello che otterrà è di maggior valenza. Nel 2008 viene naturalizzata russa, rompendo una barriera che spesso aveva visto atleti e atlete dell’est cambiare nazionalità con quella statunitense. Con la nazionale conquista una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino e un argento europeo.

Molto più di un semplice titolo

Nei suoi 15 anni di carriera come giocatrice, Becky Hammon non conquista molti premi: un titolo del campionato spagnolo e una Queen’s Cup nel 2010. Un palmarés spoglio in confronto a ciò che rappresenta per il movimento della pallacanestro, ma è proprio qui che i nostri occhi si aprono e ci mostrano che non serve essere vincenti sul campo per risultare dei campioni.

Nonostante i sei All-Star Game, due selezioni per l’All-NBA First Team e due per il Second Team e un titolo di leader negli assist nel 2007, la ragazza classe 1977 ottiene riconoscimenti ancor più grandi. Viene ritirata la sua numero 25 dalle San Antonio Stars; nel 2011 e nel 2016, per i quindici e i vent’anni della WNBA, viene inserita nelle 15 e nelle 20 giocatrici più forti della storia della Lega.

Durante un infortunio subito nel 2013, per riabilitarsi chiede di partecipare alle sessioni della squadra maschile di San Antonio. Entra in punta di piedi nella “classe” di Gregg Popovich: prima osserva, poi partecipa alle video lezioni, inizia a fare domande e a proporre novità e le sue idee ad un allenatore conservativo come il signore seduto sulla panchina degli Spurs. Tutto l’ambiente capisce quanto è speciale Rebecca, la vogliono seduta con loro durante le partite e dentro lo staff una volta ritirata come giocatrice.

Non vuole rivoluzionare il gioco di San Antonio, lei vuole evolverlo, proprio come già aveva fatto in campo. Appende gli scarpini al chiodo un anno dopo, nel 2015 le viene consegnato il Ring Of Honor, l’anello commemorativo riservato alle stelle della Lega femminile.

Step dopo step

Il cammino non è ovviamente ancora terminato e in pochi anni la ex-playmaker riceve offerte e premi da qualsiasi organizzazione. Pau Gasol in una lettera parla di come Becky Hammon sia pronta per guidare una franchigia NBA ed ESPNW la nomina Woman of the Year. Nel Luglio del 2015 allena gli Spurs per tutta la durata della Summer League, porta a casa il trofeo e diventa la prima donna ad allenare una squadra vincente nel torneo estivo.

Nel 2016 è la prima ad entrare a fare parte del coaching staff di un team agli All-Star Game e nel 2017, i Bucks con ambizioni di costruire una squadra da titolo NBA, le vogliono consegnare il posto di General Manager, lei però declina gentilmente. Questa notte, grazie ad una delle solite magate di Gregg Popovich, espulso a pochi minuti dalla fine del secondo quarto, è diventata la prima donna ad allenare una squadra della NBA.

This is not a revolution. This is the evolution of the game.

“Questa non è una rivoluzione. Questa è l’evoluzione del gioco.”

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