Breve storia di Giannis Antetokounmpo
Da Sepolia a Milwaukee, da venditore ambulante al titolo NBA. Il viaggio del due volte MVP dalla Grecia agli USA è romantico, ma non privo di insidie
Vivere sul monte Olimpo era esclusiva degli dèi, Zeus regnava e vigilava sulla Grecia intera dall’alto del suo potere. A volte queste divinità si trasformavano in essere umani per poter dare una lezione a chi abitava la terra ellenica: la morale era quella di non sfidare la loro supremazia, poiché causare l’ira di un Dio avrebbe avuto ripercussioni pesanti per il resto della tua vita.
C’è anche l’altro volto della leggenda greca, fatta di uomini meritevoli di ascendere e sedersi al fianco dell’onnipotente, ma per poter ambire a quel posto il cammino davanti è lungo e tortuoso. Superare gli ostacoli è l’unica via per realizzarsi.
Nella periferia di Atene nasce un piccolo pargolo, ignaro di essere colui che realizzerà il sogno di tutti gli ellenici prendendo uno dei pochi posti disponibili nell’Olimpo. Siamo a Sepolia in Dicembre, da quelle parti non si guarda se la stagione sia più fredda o più calda, laggiù l’obiettivo è sopravvivere, così i genitori di Giannis Antetokounmpo, emigrati dalla Nigeria, cercano di crescere i loro figli. Tra di loro, inconsapevoli, c’è colui che cambierà il destino della famiglia e metterà la Grecia sulla mappa della lega più famosa della pallacanestro.
Stateless
Stateless. In italiano vuol dire apolide, ovvero una persona emigrata dall’estero e senza cittadinanza, poiché priva di quella di nascita e non in possesso di un’altra. Pensate cosa può significare per un ragazzo non essere considerato un cittadino fino ai 18 anni di età, nonostante la sua famiglia abbia cercato in ogni modo di mutare il nucleo nigeriano in qualcosa di squisitamente vicino alla terra greca. Non se ne parla, gli Antetokunmpo (o Adetokunbo, come il loro vero cognome reciterebbe) non sono persone gradite, lo stato non vuole saperne di dare aiuti o reclutarli per lavorare, così mamma e papà decidono di mandare i propri figli a guadagnare la pagnotta.
Il problema è che non c’è niente di legale in quello che Giannis e il fratello maggiore Thanasis fanno per le strade di Sepolia. Sono due venditori ambulanti, si stanziano agli angoli delle strade con orologi, borse e occhiali da sole di dubbia provenienza, convincendo i passanti a comprare qualcosa dalla loro scorta. La polizia li ferma più volte, altre li rincorre per portarli in caserma, anche i due ragazzi sanno di essere dalla parte del torto, solo che la fame è più grande della paura e a casa ci sono altre persone che aspettano quei soldi per potersi nutrire.
Alla difficoltà di reperire cibo, la famiglia Antetokounmpo deve fare fronte alla possibilità di essere rispediti nella loro città natale, sebbene siano rifugiati poiché la Nigeria è terra di eterno conflitto e guerriglia urbana. Questa è la grande preoccupazione per tutti e soprattutto per Iannis (pronuncia del nome acquisita con la traslazione greca) che vuole un futuro migliore per chi lo ha protetto e non gli ha fatto mancare nulla; anche nei periodi più difficili Veronica e Charles si sono battuti per dare ai propri bambini un tetto sotto cui vivere e si sarebbero tolti il pane di bocca pur di vederli sorridere.
In famiglia l’ambizione era quella di eccellere nello sport, ma lo stato da cui provengono non ha mai dato loro la possibilità e le strutture per migliorare, inoltre se non puoi permetterti di pagare per migliorare le tue capacità, il governo non ha nessun occhio di riguardo nei tuoi confronti. Il piccolo freak, che già da piccolo mostra leve lunghissime attaccate ad un corpo davvero magro, si innamora della palla a spicchi e fantastica sul suo futuro. Nella sua testa non ci sono viaggi negli Stati Uniti, camp di reclutamento e scout pronti ad inseguirlo, per la futura stella dei Bucks c’è un parquet in legno e il sogno di poter dare a mamma, papà e fratelli i soldi necessari per mangiare ogni giorno.
L’ascesa del piccolo Giannis
A differenza di chi inizia la scuola basket a 4, 5 o 6 anni, Giannis si avvicina alla palla a spicchi nel 2007, quando ormai è alle prese con gli umori adolescenziali e le turbe che ne conseguono. Non è certamente un giocatore fatto e finito, tutt’altro: è alto, ha due braccia infinite e tantissima voglia di imparare, ma oltre al già citato fisico non proprio possente è tremendo nel rilascio del pallone.
Difficile non metterlo sotto il canestro dove deve solamente prendere e mettere la sfera all’interno del cesto, perciò il ruolo di lungo è ciò che più gli si addice. Quello che impressiona nel greco è la facilità con cui migliora giorno dopo giorno e nel giro di due anni attira l’attenzione del Filathlitikos, che nel 2009 lo inserisce nella squadra dei giovani e due anni più tardi gli concede la possibilità di mettersi alla prova con la squadra maggiore semi-pro e infine trova spazio nella Serie A2 greca.
Al termine dell’anno solare 2012 il talento del classe 1994 è sulla bocca di tutti e non appena compie 18 anni, il Saragozza è la squadra più veloce a fargli firmare un contratto per la sua ascesa in un campionato competitivo come la Liga ACB. Gli aragonesi superano la concorrenza di Barcellona ed Efes grazie alla promessa di lasciare libero il greco in caso di chiamata dalla NBA, fatto insperato che diventa una solida realtà in brevissimo tempo.
Il ragazzino è talmente speciale che nella stagione 2012-2013 partecipa all’All Star Game del campionato greco pur senza essere stato selezionato, solo come premio personale e come diletto per i tifosi che oramai sognano di vedere giocare dal vivo questo astro nascente del basket ellenico.
I video di Giannis Antetokounmpo fanno il giro delle mail di vari scout, ma pochi sembrano interessarsene. In questo ristretto gruppo figura lo scout israeliano Yarone Arbel che aprendo il video vede le doti del lungo greco e sebbene non ci sia nulla di eccezionale in quei pochi minuti ne rimane incantato. Non solo, nota che la clip è stata vista da poco più di 150 persone, dunque ha ancora tempo per fare la sua mossa e inviarla, insieme a numerosi appunti, al front office dei Pelicans.
In poco tempo l’ellenico diventa virale, in quel di Atene iniziano ad accorrere Danny Ainge (GM dei Celtics), John Hammond (GM dei Bucks), Danny Ferry (GM degli Hawks) e altri addetti ai lavori. L’dea che si fanno è quella di un nuovo Magic Johnson per le doti di playmaking e di Julius Erving per la facilità con cui svetta e arriva al ferro.
Quando l’agente Giorgos Panou lo invita a pranzo per discutere del suo futuro, il futuro 2 volte MVP accetta, ma non ha la minima idea di cosa stia succedendo. Giorgos gli parla di futuro negli states, la NBA lo vuole, il Draft si avvicina e deve prendere una decisione su cosa vuole fare da grande: rimanere in Grecia e giocare tra i cadetti o diventare una superstar. Il giovane Anteto sgrana gli occhi e chiede: “La vera NBA? Quella che vedo alla TV? Cosa sarebbe un Draft? Non so come funziona o cosa diavolo sia”.
Panou non sa come prendere la reazione del ragazzo, ma gli promette che entro l’estate sarà un giocatore della Lega americana, non dovrà più preoccuparsi per la sua famiglia e per le condizioni in cui vivono. Se la sua intenzione è quella di accettare, ci sarà posto per tutti, il sogno a stelle e strisce non sarà esclusiva del Greak Freak.
MJ, Hakeem e Antetokounmpo
La figuraccia fatta alla sua prima partita sotto gli occhi di uno scout NBA sembra lontana un secolo, oggi Giannis Antetokounmpo è nella top 5 dei migliori giocatori in attività e ha già il pass per diventare un hall of famer. Dal 27 Giugno 2013 è un giocatore dei Milwaukee Bucks, scelto con la numero 15 in uno dei Draft con meno potenziale di sempre: dei sessanta giocatori chiamati, solo lui, Oladipo (scelto con la n.2) e Gobert (scelto con la n.27) sono stati selezionati per almeno un All-Star Game e inseriti in un team All-NBA. Ha giurato amore eterno alla franchigia che ha creduto in lui fin da subito, ha firmato il contratto più remunerativo di sempre (250 milioni di dollari per le prossime 5 stagioni) e ora attende solamente di poter ricambiare, portando il team in cima al mondo con un Larry O’Brien.
Il cammino del numero 34, come anticipato, non è stato privo di ostacoli, ma la tenacia e il lavoro costante hanno premiato ogni suo sforzo rendendolo quel giocatore dominante che è oggi. Dopo anni di assestamento fisico e mentale, il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno e da questo maestoso pennuto è nato un rapace pronto a sbranare la sua preda. Il ragazzino gracile e timido è sparito lasciando spazio ad un uomo fatto e finito in grado di portare sulle spalle non solo il peso di una squadra a cui far vincere un anello, ma anche quello della sua nazione, la Grecia, che oggi vede in Giannis il modello da imitare per superare terribili avversità e arrivare alla meta.
A fine regular season 2016-2017 è iniziato il cammino verso la consacrazione a stella del firmamento. Il premio di Most Improved Player è arrivato insieme alla sua prima convocazione come All-Star, al primo inserimento in un quintetto All-NBA e All-Defensive (entrambi Second Team). Da quel momento non ha mai smesso di crescere, l’aggettivo “improved” è stato sostituito da “valuable” inserito nell’altro trofeo individuale, il più ambito, quello di MVP: Most Valuable Player. Nell’arco di due stagioni il classe 1994 ha cominciato a dominare la Lega mettendo a referto numeri incredibili, scomodando giocatori che a loro volta erano già leggenda negli anni in cui calcavano il parquet. A Milwaukee il mito di Lew Alcindor/Kareem Abdul-Jabbar è rinato grazie a questo ragazzo, in grado di spiccare il volo stando con i piedi per terra.
L’anno scorso non c’è stata storia, il Covid non ha placato l’istinto animale del Greak Freak che ha portato a casa il titolo di MVP in back-to-back accompagnato da quello di Defensive Player of the Year, un traguardo raggiunto solo da veri mostri sacri del gioco: Michael Jordan e Hakeem Olajuwon. L’obiettivo di Giannis Antetokounmpo non è cambiato, i premi individuali sono belli da ottenere, ti danno prestigio e inseriscono il tuo nome al fianco di altri grandissimi della disciplina, ma per essere vincenti serve altro. Indossare l’anello, diventare campioni NBA, quello è l’unico scopo.
La ring culture ha un po’ fuorviato il valore del singolo giocatore, facendo passare fenomeni del passato e del presente per eterni incompiuti nonostante le grandi imprese, ma Giannis non ci sta, perché vuole essere ricordato come il più grande di sempre e questo onore lo si può ottenere solo vincendo le Finals.
The Greak Freak
Giannis è The Greak Freak, un soprannome attribuitogli per il suo corpo lungo e magro unito ad una capacità innata di volare sopra il ferro. Un ragazzo con un fisico simile al suo non potrebbe essere in grado di compiere quello che il greco fa con una palla in mano. Le schiacciate, lo euro-step, le virate in fase offensiva; le stoppate, i palloni strappati di mano e la protezione della propria area in fase difensiva.
Antetokounmpo ha portato la pallacanestro al livello successivo, dove pochi umani possono arrivare, facendo felice quello Zeus di cui si parla ad inizio storia che non concede facilmente un posto al suo fianco sul monte Olimpo. Nei suoi sette anni all’interno della Lega, il numero 34 si è trasformato da ragazzino di periferia a supereroe con poteri sovrannaturali, mentre cerca nuovi modi per migliorarsi per fare un ulteriore salto in avanti.
Lo abbiamo visto timido, riservato, ancora in fase di pubertà con il sogno di diventare un giocatore professionista. Dai campi di Sepolia al suo primo contratto semi-pro; dagli appunti degli scout europei a quelli statunitensi; dalla figuraccia sotto gli occhi dell’osservatore dei Pelicans fino al suo ingresso nella NBA in maglia Bucks. Il giocatore ellenico non è solo migliorato come dimostrano le cifre e i premi individuali, è diventato una figura dominante; se prima avrebbe rappresentato solo la sua Grecia oggi rappresenta il mondo intero, una nuova generazione di ragazzi, quella degli emarginati che riescono a realizzare il proprio sogno.
Dalla prima partita contro i New York Knicks datata 30 Ottobre 2013 è passata un’eternità. Giannis Antetokounmpo è in grado di cambiare il volto di una partita, quando si mette su binari sbagliati lui è un uomo in missione. Non esiste difesa o uomo in grado di fermarlo, The Alphabet è come uno tsunami che ti travolge inesorabile, aspetti il suo arrivo, sei conscio di quello che accadrà, ma non hai i mezzi necessari per placare la sua furia.
52 punti, 21 rimbalzi, 15 assist, 5 palle rubate e 7 stoppate.
Questi sono i career high stabiliti durante le regular season, a dimostrazione del giocatore a tutto tondo di cui siamo testimoni.
2 volte MVP, 1 volta DPOY, 1 volta MIP, 5 volte All-Star, 1 volta MVP degli All-Star Game, All-Rookie Second Team, 3 volte All-Defensive e 4 volte All-NBA.
Queste le soddisfazioni individuali di chi non ha mai smesso di credere nel proprio sogno e nelle proprie capacità.
Dopo la partita di questa notte da 50 punti, 14 Rimbalzi, 2 Assists e 5 Stoppate è arrivato il primo titolo NBA e il premio di MVP delle Finals: la sfida lanciata da Kobe nel 2017 è stata vinta.
The Greak Freak is running wild.
ALTRE STORIE NBA
- Breve storia di LeBron James
- Breve storia di Stephen Curry
- Breve storia di Willie Cauley-Stein
- Breve storia di De’Aaron Fox
- Breve storia di Kobe Bryant
- Breve storia di Nikola Jokic
- Breve storia di Fred VanVleet
- Breve storia di Michael Jordan
- Breve storia di Devin Booker
- Breve storia di Zach LaVine
- Breve storia di Giannis Antetokounmpo
- Breve storia Russell Westbrook
- Breve storia Julius Randle
- Breve storia di Chris Paul
- Breve storia di Trae Young