Breve storia di Kevin Porter Jr.
Turbolento, imprevedibile e difficile da controllare. Houston potrebbe aver trovato un nuovo James Harden nel 21enne di Seattle
La vita di un bambino può cambiare in un istante e quella del piccolo Bryan Kevin Porter Jr. è stata irrimediabilmente compromessa in una sera di Luglio 2004, quando a soli 4 anni non vede più tornare a casa suo padre, vittima di cinque colpi di pistola. Da quel giorno quella mancanza viene colmata da una sfera arancione con cui passa gran parte delle giornate, al termine delle quali piange e spera di svegliarsi dal brutto incubo in cui papà non è presente.
Mamma Ayanna per lui si fa in quattro e lo cresce senza fargli mancare nulla, per questo Kevin vede in sua madre un modello da seguire.
Le prese in giro da parte dei coetanei per l’assenza del padre diventano pesanti e KPJ vive l’adolescenza nel peggior modo possibile, odiando il mondo, ma con in testa un solo obiettivo: diventare un giocatore professionista di pallacanestro per onorare Kevin Porter Sr.
Il talento c’è tutto, però è proprio la testa a mancare e questo diventa un problema per gli allenatori che lo amano e lo detestano allo stesso tempo, poiché davanti sanno di avere una futura stella NBA, ma si rendono conto che sia impossibile da gestire.
Kevin Porter Junior è questo, prendere o lasciare. Lo hanno lasciato i Cavaliers, lo hanno preso i Rockets lasciandogli carta bianca, un po’ come facevano con James Harden. I 50 punti segnati dopo la multa da 50 mila dollari per essere stato beccato in un night club hanno tracciato la strada.
This is the whole f’n’ show
Le origini di KPJ
Prima ancora della sua nascita, il padre sapeva che il suo erede sarebbe stato un predestinato. Al liceo Kevin senior era un fenomeno in qualsiasi disciplina si cimentasse, che fosse il baseball, il football o il basket, nessuno riusciva a stargli dietro. La Rainier Beach High School viveva sotto l’egida di quest’uomo, una vera e propria istituzione nonostante condividesse il parquet con il futuro miglior sesto uomo nella storia della NBA, Jamal Crawford.
Oltre ad andare a segno sui campi di gioco, KPS non lasciava scampo nemmeno alle ragazze, che catturate un po’ dalle sue prodezze un po’ dal suo savoir faire, cadevano ai suoi piedi. Tra le molte c’è una altrettanto giovane ragazza di nome Ayanna, meno propensa a corrergli dietro, motivo per cui lui ne era attratto follemente. I due dopo essersi scambiati lo sguardo diverse volte capiscono che l’intesa c’è ed è innegabile, così nasce l’amore.
Non passa molto tempo e i due si ritrovano genitori di una bambina. Kevin è felice, ma si rende conto in fretta che il ruolo di padre a quell’età non gli si addice e si lascia andare a qualche bravata. L’età gioca a suo favore, Ayanna perdona la sua attitudine da spirito libero e proseguono la relazione, finché nel 1993 Kevin Porter non viene condannato a 4 anni e mezzo di carcere per l’omicidio di una 14enne, lasciando sola la fidanzata e la piccola figlia.
Scontata la pena i due si ritrovano dopo aver superato l’ostacolo più difficile della loro relazione, Kevin capisce di dover mettere la testa a posto evitando ogni sorta di guaio, perché in quell’inferno non vuole più tornarci. Qualche anno più tardi la coppia mette al mondo altri due bambini, la più grande è un’altra femmina, il più piccolo, nato il 4 Maggio del 2000 è il tanto agognato maschio, che prenderà il nome di Kevin Porter Jr.
I momenti trascorsi insieme hanno vita breve: nel 2004, all’interno di un bar nei pressi di Seattle, si consuma una tragedia. Kevin Sr. vede due ragazzi darsele di santa ragione, il suo istinto inizialmente gli impone di non mettersi nei guai, ma in fondo aiutare a sedare una rissa è una buona azione, fa parte del suo percorso di redenzione, perciò divide i litiganti placando la disputa.
Quando tutto appare solo come un brutto ricordo, uno dei due coinvolti nella rissa torna con un’arma da fuoco e spara cinque colpi in direzione di KP senior, freddandolo all’istante. A soli quattro anni, Kevin junior si ritrova privato del suo eroe, di colui che lo aveva iniziato fin dalla tenera età allo sport e a diventare il suo legittimo erede.
Crescendo, il ragazzo vuole imitare il padre scrivendo il proprio nome accanto al suo in quel liceo che tanto lo aveva acclamato. Gioca con la numero 4 sulle spalle per ricordare quanti anni aveva quando tutto è terminato, ma senza arrendersi e onorando ogni momento l’uomo che in lui aveva riposto fiducia e che lo stava osservando dall’alto.
Young, Wild & Free
Il fardello che grava sulle spalle di Kevin Porter Junior è pesante, nonostante la madre lo abbia cresciuto tenendolo lontano dai guai e aiutandolo a superare la perdita del padre, il buco interno è troppo grande per essere colmato e il ragazzo è difficile da gestire. Il coach del liceo, lo stesso che anni prima aveva allenato suo padre, ne esalta le doti, ma ripete spesso che se non cambierà il suo modo di approcciare alla vita, finirà con il perdersi e sprecare tutto il talento di cui dispone.
Sul campo però le prestazioni parlano da sole: nei quattro anni di high school KPJ porta il suo team a disputare costantemente i play-off. Nel suo anno da senior registra 27 punti, 14 rimbalzi e 5 assist di media a partita, la scuola chiude il campionato con un record di 22 vittorie e 7 sconfitte. Chiude il suo percorso liceale giocando e perdendo la finale di stato con il referto che recita 22 punti e 11 rimbalzi.
Al termine dell’intera stagione viene premiato come Washington Mr.Basketball dall’associazione degli allenatori, una gioia per gli occhi vederlo giocare, a tal punto che gli scout lo considerano un talento cinque stelle e il suo nome finisce sul taccuino di molti college prestigiosi.
Dopo aver rifiutato la borsa di studio da UCLA, Oregon e Washington, Kevin Porter firma con University of Southern California, il secondo giocatore nella storia dell’ateneo dopo DeMar DeRozan a reclutato come five star talent. La strada verso il successo sembra spianata, in molti considerano il suo potenziale secondo solo a quello di Zion Williamson, ma la distanza da casa e un carattere a dir poco pepato rovinano il grande sogno. KPJ gioca un paio di partite prima di infortunarsi al quadricipite, forse complice qualche allenamento mancato e la poca voglia di impegnarsi durante le sessioni; tornato dal problema alla gamba, viene sospeso per dissidi con i compagni di squadra e condotta non adeguata.
Si vocifera sia stato trovato con della marijuana in uno zainetto, inoltre difficilmente riconosceva l’autorità dei colleghi più anziani e dell’allenatore. Torna per le ultime tre partite della stagione, ma chiude il suo primo anno con 12 gare disputate e una media di 22 minuti a partita, senza aver mai mostrato veramente la pasta di cui è fatto.
Come prevedibile, decide di abbandonare l’università e rendersi eleggibile per il Draft 2019, dove le possibilità di essere tra le prime scelte si abbassano drasticamente: infatti, il nativo di Seattle verrà selezionato dai Milwaukee Bucks con la numero 30 e subito scambiato in direzione Cleveland Cavaliers. Le proiezioni future non sono favorevoli, pochissimi credono in lui, il suo animo ribelle è destinato a prevaricare sull’estro e sulla volontà di diventare una stella della NBA. Il suo anno da matricola si chiude con 50 partite giocate, di cui 3 nello starting five. Registra una media di 10 punti, 3.2 rimbalzi, 2.2 assist in 23.2 minuti sul parquet, tirando con il 44% dal campo, il 33% da 3 punti e il 72% ai liberi.
Sognando James Harden
Un ragazzo a cui dare una seconda chance. Un ragazzo da comprendere, da volere bene, perché arrendersi con una persona che ha subito un trauma come la perdita del padre ed etichettarlo immediatamente come mela marcia non è altro che un modo per peggiorare la situazione.
Fin dall’età di dieci anni aveva però le idee chiare sul suo futuro: avere buoni voti a scuola, frequentare il liceo del padre e giocare per la squadra di Rainier Beach, vincere un titolo statale con quella divisa, ottenere una borsa di studio per un college di Division I e infine diventare una superstar one and done e giocare nella NBA. Quando gli venne consigliato di avere un eventuale piano B in caso avesse fallito uno dei suoi obiettivi, la sua risposta fu
There’s No Plan B!
“Non c’è nessun piano B” – Kevin Porter Jr. a 10 anni sul suo futuro
Non ha bisogno di migliorare nessun aspetto del suo gioco, il talento di KPJ è innato. Se dice che metterà una tripla dai dieci metri, il pallone entrerà senza problemi; se dice che andrà a realizzare una schiacciata in poster, il suo avversario finirà per essere umiliato; se si mette in testa di eseguire un passaggio dietro la schiena, lo fa stilisticamente perfetto.
La capacità con cui crea e realizza dal palleggio è simile a quella di pochi altri, solo che questi numeri li mette in mostra quando è ancora un ragazzino solamente guardando le star della NBA eseguirle in prima serata. Cominciano i paragoni pesanti. Per stile, eleganza ed esecuzione ricorda James Harden, quella mano mancina e quello step-back che incanta il pubblico texano di Houston diventa marchio di fabbrica anche del classe 2000. Quando gli chiedono cosa ne pensa del paragone ecco uscire fuori tutto l’ego del ragazzo
I couldn’t ask for a better comparison. He’s unguardable.
“Non potrei chiedere un paragone migliore. Lui è immarcabile” – KPJ sul paragone con James Harden
Oggi Bryan Kevin Porter Junior, a distanza di un paio d’anni da quel paragone, ha raccolto il testimone proprio del Barba ai Rockets. Oltre allo stile di gioco ha voluto anche rubare il modo di comportarsi fuori dal campo, sopra le righe per usare un eufemismo. Quella multa di 50mila dollari seguita dalle aspre critiche per il suo atteggiamento, tutto sotterrato dai 50 punti realizzati nella clamorosa vittoria contro i Bucks di Giannis Antetokounmpo.
Questa prestazione lo ha reso il secondo giocatore degli Houston Rockets (proprio dopo James Harden) con una partita da cinquanta punti e dieci assist, ma forse quel che stupisce di più è il record di giocatore più giovane a segnare almeno 50 punti in una partita (a soli 20 anni) superando così LeBron James.
Le ali della libertà
La vita di Kevin è stata ed è tutt’ora burrascosa. Un padre assassinato, un’adolescenza complicata dove non sono mancate le prese in giro dei compagni per il fatto accaduto a Kevin Porter Sr e la difficile gestione del suo carattere da parte degli allenatori. All’università non viene compreso e decide di lasciare dopo un solo anno tutt’altro che rose e fiori; l’ingresso in NBA non è una passeggiata, la stagione sospesa a causa del Covid lo porta in una spirale senza ritorno.
La story su Instagram dove sembra sull’orlo del suicidio è il grido d’aiuto di un ragazzo in difficoltà, ma i Cavaliers dopo l’arresto del 15 Novembre scorso non possono pensare di minare un gruppo di per se difficile da gestire tenendo al suo interno un elemento potenzialmente dannoso per se stesso e per i compagni.
Una seconda chance però non si nega a nessuno, così prima ci pensa la squadra satellite dei Rockets, i Rio Grande Valley Vipers che disputano la G-League. Per lui non è un passo indietro, solo un nuovo inizio in cui mostrare chi è davvero. Vuole dimostrare che il tempo delle scenate negli spogliatoi è finito, non butterà al vento la sua occasione di essere una star della Lega professionistica di basket più famosa al mondo. Le sue prestazioni sono da capogiro e Houston lo richiama senza pensarci due volte.
Una girandola di emozioni, di alti e di bassi come se la vita del giovane nato a Seattle fosse una montagna russa, il cui arrivo è stato segnato il giorno 29 Aprile 2021, il giorno dei cinquanta. Scacciati i demoni (per ora), trovata la fiducia di cui aveva bisogno, KPJ ha spiccato il volo sulle ali della libertà.
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