Breve storia di Julius Randle
30 e lode. Un viaggio coast to coast dalla calda Los Angeles all’affascinante New York
Il voto che merita la stagione disputata da Julius Randle lo rubiamo direttamente dal numero che indossa dietro la schiena. Trenta a cui aggiungiamo una lode, perché grazie alle sue prestazioni il nativo di Dallas non ha solo portato i Knicks ai play-off, ma è passato da essere un serio candidato al titolo di Most Improved Player a non avere avversari credibili, terminando la regular season come possibile top 10 nella classifica del Most Valuable Player.
JR però ha dovuto attraversare un lungo viaggio, cominciato in Texas e proseguito nel Kentucky alla corte di coach John Calipari. La scelta numero sette al Draft come nuovo giocatore dei Los Angeles Lakers, un matrimonio durato quattro stagioni senza aver mai provato realmente a conoscersi in fondo.
A New Orleans l’idea era raccogliere l’eredità di Anthony Davis, qui dove il suo talento avrebbe avuto libertà di espressione fino all’arrivo di Zion.
Oggi, alla seconda stagione nella Grande Mela, il legame tra Randle e i Knicks è più solido che mai. La volontà del giocatore è quella di ritirarsi al Madison Square Garden inseguendo quel titolo NBA che manca dal 1973, per il momento si dovrà accontentare (e non è poco) dei play-off appena raggiunti dopo anni di inferno, ma questa nuova febbre esplosa a New York potrebbe portare sorprese già in estate.
Inferno
La carriera del classe 1994 si può tranquillamente raccontare come fosse la Divina Commedia del Vate Dante Alighieri. Un viaggio verso la redenzione, cominciato nel peggiore dei modi e sviluppatosi via via sempre meglio. Prima di entrare nella selva oscura chiamata NBA, Julius ha affrontato le scuole superiori e il college come pura formalità a livello cestistico. Una forza della natura al liceo, dominatore totale dei parquet, così tanto che i talent scout lo valutano numero uno della nazione nel suo ruolo e numero due in assoluto.
Gioca un solo anno a Kentucky, dove con 24 doppie doppie arriva ad una sola dal record di Dan Issel stabilito nel 1969-1970, ma supera comunque quello stabilito da un freshman appartenente a DeMarcus Cousin ed Anthony Davis con 20. Chiude con 15 punti, 10.4 rimbalzi e 1.4 assist in 30.8 minuti di gioco, questo lo convince subito a dichiararsi eleggibile al Draft senza tornare sui suoi passi.
I Los Angeles Lakers lo scelgono con la numero sette nel 2014, in pratica è un sogno ad occhi aperti fino al suo debutto nella Lega.
La stagione da matricola di Randle dura appena 14 minuti. La sera del 28 Ottobre la sua gamba fa crac, il giorno dopo finisce sotto i ferri per riparare la frattura e la prognosi è un season ending injury. Il 9 Marzo del 2015 può tornare ad allenarsi, ma senza contatto e senza forzare sulla gamba infortunata, perché il rischio di ricaduta è elevato.
L’animo del ragazzo è seppellito dalla delusione e dalle numerose domande che giungono quando si subisce un danno di questa entità: “riuscirò a tornare come prima?” “avrò ancora la possibilità di essere un Laker?” “che ne sarà della mia carriera?”
L’anno successivo si torna in campo. La voglia di mettersi in mostra e far ricredere coloro che lo avevano già bollato come troppo fragile è troppo forte per poter deludere. Il suo ritorno è firmato da una doppia doppia con 15 punti e 11 rimbalzi nella vittoria contro i Timberwolves. Nonostante il 25 Marzo 2016 diventi, a soli 21 anni, il giocatore dei Lakers più giovane dai tempi di Magic Johnson a realizzare una tripla doppia, la squadra non gira. Guidati da un Kobe Bryant prossimo ad appendere gli scarpini al chiodo, la squadra di Los Angeles chiude con appena 17 vittorie.
Nelle successive due stagioni l’epilogo non avrà esito differente: sebbene il record stagionale verrà migliorato prima con 26 vittorie e poi con 35, Randle e compagni sono costretti a seguire la post-season dal divano di casa propria. I numeri del texano si alzano e si abbassano, non c’è un vero e proprio miglioramento in campo e spesso Julius sembra disattento in difesa, quella zona del campo che la franchigia della California pensava di aver coperto scegliendolo al Draft. Il 2 Luglio del 2018 i Los Angeles Lakers rinunciano al ragazzo indicandogli la porta di servizio.
Per lui non c’è più spazio, LeBron James è in arrivo.
Purgatorio
Liquidato dai giallo-viola, JR si libera da quell’apparente inferno per trovare un ruolo da protagonista in Louisiana. I Pelicans in estate avevano appena perso a sorpresa DeMarcus Cousins, perciò il biennale da 18 milioni di dollari offerto a Randle lo responsabilizzava ad un ruolo di terzo violino al fianco della stella Anthony Davis e dell’esperta point guard Jrue Holiday. La squadra sembra costruita per una cavalcata verso i play-off, aggiungendo mole fisica al reparto difensivo e guidati da un Davis in stato di grazia, New Orleans avrebbe sperato di ottenere qualcosa in più rispetto ad un misero primo turno di post-season.
I guai in purgatorio però non tardano ad arrivare: a Gennaio del 2019 AD rifiuta in rinnovo del contratto non ritenendo la squadra all’altezza di poter competere contro le big della Western Conference. La franchigia per punizione prima intima Alvin Gentry di farlo giocare non più di 20 minuti, poi di escluderlo dal quintetto ed infine di non farlo scendere in campo.
La conseguenza è una stagione senza play-off per i Pelicans seguita da una frattura irreparabile tra front office e spogliatoio. Julius giova dell’assenza del numero 23 giocando la sua miglior stagione in carriera, chiudendo con 21.4 punti di media, migliorando le percentuali al tiro da tre e dalla lunetta, aiutato anche dall’elevato numero di minuti che lo vedono sul parquet (30.6 di media).
L’apice nel sud degli Stati Uniti arriva il 15 Marzo 2019 quando realizza il suo career high di 45 punti nella gara persa contro i Trail Blazers.
Termina con un nulla di fatto la sua esperienza ai Pelicans, ma con la consapevolezza di essere un giocatore decisamente migliore rispetto a quello che ha potuto esprimere a Los Angeles e questo lo convince a declinare la sua player option trasformandosi in un free agent nell’estate del 2019. I New York Knicks dopo aver fallito ogni tentativo di arrivare a Kevin Durant, a Kyrie Irving e di scegliere con la numero 1 al Draft il talento di Duke Zion Williamson, decide di scommettere su tutte le ali grandi disponibili.
Tra loro c’è proprio Julius Randle, che il 9 Luglio 2019 firma un contratto di tre anni a 63 milioni di dollari, una scommessa per entrambe le parti: se per i Knicks c’era la speranza di puntare su un giovane in cerca di rilancio, d’altra parte il numero 30 sognava di giocare al Madison Square Garden e riportare la squadra ai piani alti della Lega.
Il purgatorio però dura ancora un anno nella storia del ragazzo a causa delle scelte scellerate del front office di New York, totalmente incapace di assemblare una squadra competitiva e chiudendo l’ennesima stagione all’ombra di tutta la Eastern Conference.
Per il classe 1994, nonostante le paure di aver fatto la scelta sbagliata in estate e dunque di essere tornato all’inferno, non tutto è da buttare perché è chiaro come il sole che sia lui la stella del team, dunque la scossa necessaria per risalire la china deve partire solamente dal suo istinto e dalla sua voglia di diventare una stella della NBA.
Paradiso
La pandemia sconvolge i piani del mondo intero e probabilmente riprogramma anche le idee dei front office. Dopo aver assistito da spettatori alla bolla che ha visto vincitori del titolo NBA i Los Angeles Lakers dell’invincibile duo LeBron James-Anthony Davis (uomini del destino per Julius Randle nel corso della sua carriera), i New York Knicks decidono di rifondare la squadra per l’ennesima volta.
L’idea della franchigia è quella di fare scelte oculate sia per il roster sia per la panchina, dentro un vuoto MSG deve regnare l’equilibrio in ogni caso. Ripartire da Julius Randle, dal sophomore RJ Barrett e da quegli elementi che hanno sposato la causa Knickerbockers nella gioia e nel dolore.
La stagione 2020-2021 è anche la 75° nella storia della franchigia, un traguardo da onorare con il sudore e il sacrificio, guardando ai grandi campioni del passato, all’ultimo titolo del 1973 e a quei play-off che mancano dal 2013, un’eternità per la Grande Mela. Sulla panchina arriva il sergente Tom Thibodeau, vetusto nei modi di fare e nella gestione dei giovani, ma promotore del motto “vincere ad ogni costo”, una frase che non si sentiva da parecchio tempo da quelle parti.
A fare compagnia al buon coach, la sua stella incompiuta diventata ormai icona della Lega e storia romantica della pallacanestro, Derrick Rose. Davanti allo scetticismo generale per le decisioni ancora una volta abbastanza discutibili della dirigenza, il roster sembra avere la profondità e l’esperienza necessaria per affrontare la regular season.
Episodio chiave: Tom Thibodeau affida la squadra al numero 30 Julius Randle. Il capo allenatore vede nel ragazzo la sua stessa voglia di vincere, riuscire nell’impresa in cui molti hanno fallito. I due stringolo un’alleanza che ha il sapore di un accordo tra padre e figlio. Randle investito di questo incarico non ha la minima intenzione di deludere il coach e passa poco tempo prima di capire che a New York qualcosa sta cambiando.
I tifosi rimangono incantati dalle giocate dell’ex Lakers, soprattutto dalla velocità della sua virata, così iniziano a chiamarlo “Beyblade” come il famoso cartone animato giapponese dei primi anni 2000 il cui tema erano le trottole. La sua forza fisica, la determinazione e la sicurezza acquisita nei propri mezzi rendono Julius Randle il fattore di ogni vittoria conquistata.
Lo scetticismo in poco tempo si trasforma in shock generale, i Knicks sono una delle potenze della Conference orientale, dietro solo al triumvirato 76ers-Nets-Bucks, che però hanno dalla loro parte una rosa nettamente superiore a quella degli arancio-blu. Le vittorie fioccano grazie ad un Randle sensazionale che in poco tempo chiude ogni discussione sull’assegnazione del premio di Most Improved Player.
Julius non è più solo un giocatore, Julius ora è un hooper.
Trasforma in oro ogni pallone che tocca, segna senza fare distinzione tra un jumper dalla media e una tripla dall’angolo; diventa il primo riferimento sotto il tabellone, chiudendo la bocca di coloro che lo hanno sempre visto come un telepass in fase difensiva; inoltre il cambiamento radicale lo si vede nella gestione del possesso palla che coincide con la capacità nello smistare assist per i compagni di squadra.
Randle sotto Thibodeau è un giocatore completamente differente: sicuro di se stesso, leader dentro e fuori dal campo, maturo nelle scelte e meticoloso nel seguire il suo diretto avversario.
Con la vittoria nell’ultima gara di regular season contro i Boston Celtics per 96-92, i New York Knicks si sono assicurati il quarto posto nella Eastern Conference e la post-season dove affronteranno gli Atlanta Hawks, in un duello che vedrà a sorpresa uno dei due team arrivare alle semifinali. Julius Randle è all’unanimità il Most Improved Player of the Year dopo aver chiuso la stagione con 24.1 punti, 10.2 rimbalzi, 6 assist, il 45.6% da 2, il 41% da 3 e l’81% ai liberi in 37.6 minuti giocati, esclusa la percentuale nel tiro dalla media, questi dati sono tutti massimi in carriera per il nativo di Dallas.
In ben 45 delle 71 partite da lui disputate è stato il top scorer della squadra, 48 volte leader dei rimbalzi e 47 negli assist, numeri pazzeschi di una stagione da MVP più che da Most Improved. Julius Randle ha ricevuto la sua prima selezione per gli All-Star Game e verosimilmente riuscirà ad essere parte di un All-NBA Team e di un All-Defensive Team a coronamento di un 2021 che lo ha visto arrivare finalmente in paradiso.
Julius Randle, this is your stairway to heaven.
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