Chicago Bulls, l’ottima partenza segna la rinascita?
L’eccellente inizio dei Bulls è il migliore dai tempi di Michael Jordan: è il segnale di ripartenza di una franchigia in difficoltà?
Quattro partite e quattro vittorie, miglior record della Eastern Conference e una domanda sorge spontanea: è l’anno della rinascita dei Chicago Bulls?
La partenza è da squadra di primo livello e un inizio immacolato dopo quattro match non si vedeva dal 1996. Non sono solo i venticinque anni passati che rendono la cosa speciale ma anche il fatto che nella formazione del 96-97 ci fosse un certo Michael Jordan, accompagnato da Scottie Pippen, Dennis Rodman e con Phil Jackson a guidare dalla panchina.
Ora, il roster non è neanche paragonabile per talento individuale e qualità di squadra, primo su tutti per il fatto che quella formazione era già plurivincitrice di titoli e poteva contare su uno dei migliori giocatori della storia. Ma detto questo non si può negare che ci sia una abissale differenza tra i Bulls dell’anno scorso e quelli di quest’anno, e che quella differenza può impensierire davvero tanto le avversarie.
Il roster
Il cambiamento più evidente è nell’organico: i Bulls hanno sacrificato Lauri Markkanen, ormai diventato più un peso che una risorsa, Thaddeus Young (uno dei pochi a salvarsi dalla stagione passata), Thomas Satoransky e Garrett Temple per arrivare a giocatori più funzionali al gioco proposto da Donovan e complementari alla stella di casa, Zach Lavine.
Già la scorsa stagione era stata posta la prima pietra della ricostruzione con l’arrivo di Nikola Vucevic, per dare qualità sotto le plance e aggiungere un giocatore tanto utile nel pitturato quanto dal perimetro. In estate poi sono arrivati calibri da novanta come DeMar DeRozan e Lonzo Ball a chiudere il cerchio. In più la firma di role players di buon livello come Derrick Jones Jr e Alex Caruso ha garantito una panchina più profonda.
Il gioco
L’incastro dei nuovi innesti, per ruolo e caratteristiche, è stato perfettamente naturale: palla in mano a Ball, Lavine come guardia, DeRozan come ala piccola, il promettente sophomore Patrick Williams in posizione di ala grande e Nikola Vucevic sotto i ferri.
A guidare la second unit ci penserà Coby White una volta ripresosi dall’operazione alla spalla: il prodotto di North Carolina tornerà a breve, entro novembre secondo le indiscrezioni, e potrà riprendere l’ottimo percorso di sviluppo lasciato lo scorso anno. Insieme a lui ci saranno Jones Jr, Caruso, Troy Brown e il neo acquisto Javonte Green, arrivato da Boston dopo un passato anche nel nostro campionato con Trieste.
Caruso in particolare ha già visto un ampio incremento del minutaggio rispetto alle stagioni coi Lakers: dai 20 minuti a cui era abituato si sta assestando intorno ai 28/29 a partita, segno di grande fiducia da parte di Donovan nelle sue qualità di tuttofare.
Lavine rimane il leader assoluto, le sue qualità offensive lo collocano tranquillamente tra i top di ruolo (nella notte ha anche superato Michael Jordan per triple realizzate con la casacca dei Tori) e il feeling con i compagni è già ottimo. Ball sembra aver trovato equilibrio e serenità e in queste partite ha già mostrato il suo arsenale nelle due metà del campo: la tripla doppia appena realizzata (un record per la sua età) ne è la prova.
DeRozan non è da meno, le sue caratteristiche lo rendono perfetto per gli schemi del coach e anche per lui arrivano ottime medie: 22.5 punti, 5.8 rimbalzi e 4.5 assist, numeri che ne fanno ben altro che un secondo violino in alternativa ad Air Zach. In queste prime battute è Vucevic quello che ha “risentito” dell’arrivo di compagni offensivamente produttivi: il montenegrino infatti viaggia a 14.3 punti di media a cui aggiunge per 11.5 rimbalzi, 3.5 assist e 2.3 palle rubate.
Insomma, i Bulls giocano di squadra e la distribuzione equa delle statistiche lo dimostra. Alla grande tavola di Billy Donovan c’è spazio per tutti.
Obiettivo: Playoff
Con un roster così ben equilibrato, con l’entusiasmo che in questo momento ha invaso lo United Center sia in campo che sugli spalti, con così tanto talento messo al servizio di un obiettivo comune, il traguardo a cui puntano inevitabilmente i Chicago Bulls sono i Playoff.
L’organico c’è, il gioco anche, le avversarie ad Est non sembrano eccessivamente superiori, eccezion fatta per Bucks e Nets almeno sulla carta. Oltretutto una parte dei giocatori chiave di questa squadra ha già esperienza in post season, seppur con alterne fortune, e pur non avendo mai messo al dito l’anello di campioni (eccezion fatta per Caruso) possono sicuramente dare quel contributo di esperienza che serve ad una squadra per puntare un po’ più in alto.
Realisticamente però va detto che, soprattutto essendo il primo anno insieme, questi Bulls possono aspirare a passare il primo turno, con un pizzico di fortuna e cuore in più anche il secondo magari, ma è difficile considerarli già ora una contender. Non è impossibile pensare ad un percorso simile a quello fatto da Atlanta la scorsa stagione, ma proprio come gli Hawks è molto facile che si infranga sul muro di squadre più esperte e oggettivamente più forti.
Questo non vuol dire comunque che già nel giro di poco non possano affermarsi come una seria minaccia nella Eastern Conference. Il percorso cominciato dalla società punta nella direzione giusta e nel modo giusto, la scelta del coach è stata impeccabile così come gli acquisti sul mercato e questo dimostra che il nuovo front office, entrato in azione nel 2020, vuole imporre una mentalità vincente.
I Bulls sono stati la forza dominante assoluta degli Anni 90 e sono crollati. Hanno avuto una primavera felice con l’arrivo di Derrick Rose e sono crollati dopo il suo infortunio. Adesso, dopo anni, possono tornare finalmente a respirare una nuova aria, un’aria che ha davvero l’odore di vittoria.