Draft NBA, le Migliori Steal dal 1990 al 2000
Ecco la classifica delle dieci migliori steal del Draft NBA degli anni Novanta
Eccoci alla prima generazione di “steal of the draft”, una caratteristica particolare delle lottery NBA, in cui il General Manager della franchigia diventa un vero e proprio eroe, quando sceglie con un numero basso o addirittura molto basso un futuro All-Star, in casi limite anche un All-NBA Team.
Fino ad oggi MVP con scelte al secondo giro non ci sono mai stati, ma numerosi premi come quello di matricola, difensore o “most improved” sono stati loro assegnati, per non parlare di role player diventati fondamentali nel cammino al titolo NBA.
Analizziamo i dieci giocatori che dal Draft 1990 al primo Draft del nuovo millennio hanno contribuito significativamente alla loro squadra, alla Lega o che si sono fatti notare per le loro gesta iconiche.
Una “steal”, perché possa avere questo sostantivo di fianco al proprio nome, deve almeno essere stata scelta dalla numero 20 in poi. Negli anni ’90, anche a causa di Michael Jordan o di alcune franchigie ben organizzate è stato più difficile reperire veri e propri campioni, ma le sorprese non sono mancate.
10. Cedric Ceballos (NBA Draft 1990 – scelta n.48)
Lo si ricorda principalmente per aver vinto lo Slam Dunk Contest, con la divisa dei Suns, eseguendo una schiacciata bendato. La sua carriera sembrava sul punto di esplodere, il suo passaggio ai Lakers gli permise di essere convocato per l’All-Star Game alla prima stagione in giallo-viola, ma a causa di un infortunio non partecipò.
L’anno successivo realizzò il suo primo 50ello, a Los Angeles erano vent’anni che non se ne vedevano e questo fece sperare il meglio per Cedric, che però si trascinò per la Lega gli infortuni, fino a diventare un giramondo e persino un Globetrotter.
9. Antonio Davis (NBA Draft 1990 – scelta n.45)
Scelto dai Pacers a metà del secondo giro, ma è stato subito “prestato” a Panathinaikos e Milano per farsi le ossa in Europa. Vince una coppa Korac proprio in Lombardia e maturati i tempi per il debutto, torna in NBA nel 1993 come parte del roster di Indiana.
In carriera ottiene una convocazione agli All-Star Game del 2001 indossano la divisa dei Toronto Raptors (con cui poi chiuderà la carriera nel 2006), ma i suoi anni migliori si ricordano proprio tra il 93′ e il 99′, dove ad Indianapolis ha giocato quattro volte le finali di Conference (1994, 1995, 1998, 1999) e in tutte le occasioni è stato sconfitto.
8. Nick Van Exel (NBA Draft 1993 – scelta n.37)
The Quick, questo il suo soprannome, ha avuto la grande sfortuna di non vincere mai il titolo NBA, ma durante i suoi 13 anni nella Lega si è sempre distinto per essere un affidabile playmaker, protagonista nelle squadre che dovevano ripartire da zero.
Fu il perno centrale del rebuilding Lakers (insieme a Ceballos) dopo la “Showtime Era” e i gialloviola sentivano di potersi fidare di lui per guidare la squadra. Nel 1998 viene convocato per la partita delle stelle e l’anno dopo scambiato ai Nuggets per far ricominciare alla franchigia del Colorado una nuova vita.
Il carattere un po’ complicato e i diversi infortuni non gli hanno vietato di contribuire nel migliore dei modi con le diverse divise indossate. Sebbene non sia stato un campione, prenderlo con la numero 37 fu un vero “furto”.
7. Michael Redd (NBA Draft 2000 – scelta n.43)
Un grande giocatore, il cui percorso in NBA è stato stroncato dalla sfortuna, perché perseguitato dagli infortuni. Una vera manna dal cielo per i Bucks, che pescano alla quarantatre la guardia da Ohio State, un portento dalla distanza e uno scorer come non ne passavano da anni nel Wisconsin.
I suoi Milwaukee erano quelli di Ray Allen, Glenn Robinson e Sam Cassell, con coach Karl potevano creare qualcosa di veramente unico, ma c’erano anche altre squadre a competere. Redd fu il primo vero tiratore specialista della nuova era, con le 8 triple nel 4° quarto contro i Rockets e il 44.4% di media dalla lunga distanza, i Bucks avevano pescato una steal.
Nel 2004 è stato convocato per l’All-Star Game e inserito nell’All-NBA Third Team, nel 2008 si aggiudica la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino; purtroppo gli infortuni dal 2009 al 2013 compromettono la seconda parte della sua carriera e decide di ritirarsi.
6. Latrell Sprewell (NBA Draft 1992 – scelta n.24)
Genio e sregolatezza, quest’ultimo aggettivo forse ha compromesso la sua carriera, che avrebbe meritato ben altre gioie e almeno un trofeo. I primi anni nella Lega avevano messo alla luce il grande lavoro degli scout, che selezionandolo alla fine del primo giro, si erano portati a casa un futuro All-Star.
4 convocazioni, di cui 3 con la maglia degli Warriors (1994, 1995, 1997), ma l’incidente con Carlesimo mise nell’ultima stagione in giallo-blu mise quasi fine alla sua (breve) carriera. Tornò solamente 1 anno e 2 mesi dopo a giocare, con la maglia dei Knicks con cui gioca una finale NBA (persa vs Spurs) e il suo quarto ed ultimo All-Star Game.
Nel 2003-2004 forma il trio più prolifico della NBA con Garnett e Cassell, una spina nel fianco per tutte le contenders di Ovest, ma i Lakers spegneranno questi sogni nella finale di Conference.
5. Rashard Lewis (NBA Draft 1998 – scelta n.32)
Il palmarés recita 1 titolo NBA e solo 2 convocazioni agli All-Star Game, ma Lewis per la pallacanestro americana è stato molto di più. Ha formato gruppi incredibilmente belli da veder giocare nei suoi 16 anni di carriera: prima il trio divertente e temibile con Allen e Payton ai Supersonics, poi quello con Howard e Nelson ai Magic, con cui conquista la sua prima Finals NBA.
Un realizzatore incredibile e affidabilissimo tiratore da 3 punti, nei suoi anni in Florida passa da ala piccola ad ala grande e migliora tutti gli aspetti del suo gioco. L’uso di sostanze vietate nell’Agosto 2009 lo porta ad essere meno considerato da Orlando che l’anno successivo lo scambia con Washington e il suo periodo qui è tutt’altro che positivo.
Viene scambiato con New Orleans che però non gli da nessuna chance e lo taglia; gioca per l’altra franchigia della Florida, i Miami Heat, dove ritrova Allen, l’intero staff gli da fiducia e lui li ripaga facendosi trovare pronto. Gioca 2 finali e vince il suo primo e unico titolo.
4. Michael Finley (NBA Draft 1994 – scelta n.21)
Un solo anno in Arizona, poi una vita intera passata in Texas tra Mavericks e Spurs, con cui raggiunge le finali e vince il titolo partendo dal quintetto. Guardia tiratrice con un fisico da ala, padrone del proprio fisico, che usava senza problemi sugli avversari.
Per la maggior parte della carriera ha indossato la divisa di Dallas; durante il suo primo anno con i Mavs è stato il migliore in punti, assist e palle rubate, con l’arrivo di Nowitzki, hanno formato, insieme a Nash, un trio offensivo spumeggiante, conosciuto per il loro gioco “run and gun”.
Nel 2005, dopo 9 anni, passa a San Antonio giocando come back-up di Manu Ginobili e nel 2007 diventa protagonista dei play-off neroargento, stabilendo il record di franchigia per triple realizzate in una gara di post–season.
Conquista il titolo e nel 2010 conclude la sua carriera, non prima di aver giocato la sua seconda finale (perdendo), questa volta in maglia Celtics.
3. Andrei Kirilenko (NBA Draft 1999 – scelta n.24)
A livello di talento, di sicuro tra i migliori in questa classifica, purtroppo per lui è dovuto tornare in Europa per vincere qualche trofeo e consacrarsi anche come giocatore vincente.
La sua carriera NBA ad alti livello è iniziata e finita negli Utah Jazz, debuttando nel 2001 e lasciandoli dieci anni più tardi; dei suoi stint in maglia Timberwolves e Nets non si ricordano in molti, perché gli infortuni e il fisico ormai logoro non gli hanno permesso di esprimersi al meglio.
A Salt Lake City abbiamo visto pura onnipotenza cestistica e grazie alla sapiente mano di Jerry Sloan, che già ci sapeva fare e non poco, riuscì a creare un quintetto formidabile, di cui il russo era il muro portante.
Una convocazione agli All-Star Game del 2004, leader nelle stoppate nel 2005, miglior quintetto difensivo 2006, uno dei pochissimi giocatori a realizzare più volte un 5×5 (almeno 5 in ogni statistica) e il secondo dopo Olajuwon a registrare una partita da 5×6. Quando non serve un titolo NBA per essere uno dei migliori europei nella storia della Lega.
2. Sam Cassell (NBA Draft 1993 – scelta n.24)
In compagnia di Hakeem Olajuwon ha portato a casa due titoli back-to-back con i Rockets, giocando come play titolare e contribuendo in maniera significativa alla loro vittoria. Questo quando era precisamente al primo e secondo anno nella NBA, poi chiuderà la carriera proprio nello stesso modo in cui è iniziata, vincendo l’anello in divisa bianco-verde Celtics.
La scelta alla numero 24 non fu un caso, il draft sembrava particolarmente ricco di giocatori “NBA ready” e lui, con il suo fisico gracile, non rientrava nella categoria. Niente di più sbagliato, perché il suo status, che fosse da secondo, terzo violino o semplice role player, è stato di grande aiuto in ogni franchigia.
Gli All-Star Game del 2004 il giusto premio alla carriera dopo un’annata spettacolare come parte dei “big 3” di Minnesota con Garnett e Sprewell, non prima di essere stato componente di un altro “big three” tra i più belli della Lega, ai Bucks con Allen e Robinson.
Nel 2006 ha guidato i Clippers alla loro prima vittoria in una serie di play-off, forse la sua vittoria più grande, visto che non accadeva dal 1978.
1. Manu Ginobili (NBA Draft 1999 – scelta n.57)
Non la stella della squadra, ma il rapporto “scelta-rendimento” è di sicuro il migliore nella storia della Lega. Scelto alla numero 57, alla fine del secondo giro e lui nemmeno sapeva di essere diventato parte del roster degli Spurs. Chiamato nel 1999, ma il suo debutto in NBA arriva solo 3 anni dopo e da rookie diventa campione per la prima volta, trasformandosi da giocatore di rotazione a semi-protagonista in pochi mesi.
Sposa il progetto San Antonio a vita e con loro diventerà campione NBA altre tre volte, sarà fondamentale per la vittoria del titolo nel 2005 e nel 2014, da veterano dei play-off, si prenderà una rivincita anche personale contro i Miami Heat, dopo essere stato sconfitto l’anno precedente.
Con Duncan e Parker ha formato il trio più iconico della storia della franchigia e uno dei più vincenti in NBA, ha ricoperto qualsiasi ruolo gli chiedesse coach Pop: infatti, vince anche il trofeo di sesto uomo dell’anno nel 2008.
Se pensate che sia stato vincente solo grazie ai neroargento o che gli anni tra il 1999 e il 2002 siano stati solo di passaggio, sappiate che in Italia è una vera e propria leggenda, avendo vinto qualsiasi competizione a cui ha partecipato.
Con la nazionale ha collezionato numerose medaglie, tra cui la storica d’oro alle olimpiadi di Atene. Infine la sua maglia numero 20 è stata ritirata con una celebrazione degna del giocatore e dell’uomo che è sempre stato Manu, in campo e fuori; un esempio per le generazioni a venire.
Non male per chi, scelto con quel numero così alto, non avrebbe avuto chance di fare strada negli Stati Uniti.