I Migliori Giocatori NBA Senza Anello
Ecco i dieci migliori giocatori nella storia dell’NBA a non aver mai vinto un anello
Quante volte ci lasciamo spingere dal sentimento di voler vedere un fenomeno del parquet incoronato come campione NBA e quante volte sulla loro strada si è abbattuta la sfortuna di condividere l’epoca con
un Dio della pallacanestro o con il destino beffardo che ha deciso di cambiare rotta per creare il momento romantico attraverso un giocatore meno meritevole.
In questa classifica si fanno i nomi di dieci malcapitati a cui non è riuscita l’impresa di risultare vincenti, tutti quanti già con le scarpe appese al chiodo e un pensiero struggente di non aver mai potuto abbracciare e dormire una notte con il Larry O’Brien Trophy, come molti altri sono riusciti a fare (anche per più di una volta).
10. Tracy McGrady
Al decimo posto è probabilmente una scelta dettata dal romanticismo, ma T-Mac non poteva non essere inserito in questa speciale lista.
Il nativo della Florida ha inseguito per anni quel titolo e ha dovuto trovarsi davanti la strada sbarrata da giocatori del calibro di Kobe Bryant, Tim Duncan, Shaquille O’Neal e come se non bastassero già loro, gli infortuni lo hanno perseguitato fino al ritiro.
The Big Sleep è stato uno dei migliori realizzatori, un atleta di livello indiscutibile e uno spettacolo per gli occhi, oltre ad una delle shooting guard più temibili della Lega, questo però non è bastato per vederlo alzare quel dannato trofeo.
9. Vince Carter
Vinsanity ha cambiato la concezione di schiacciata e ancora oggi nessuno è mai riuscito ad eguagliarlo (forse Blake Griffin ci è andato molto vicino).
Ha trascorso una vita tra il Canada e il New Jersey, sfiorando più volte le finali di Conference (memorabile la sfida contro Allen Iverson) e quando è arrivato a Dallas ha indossato la divisa dei campioni in carica, ma non vi è mai statala possibilità di un re-peat che lo vedesse protagonista.
8 volte consecutive All-Star, 22 stagioni in NBA, unico giocatore ad aver giocato in quattro decadi differenti, accanto a quest’ultimo dato avremmo voluto vedere scritto vicino “NBA Champion” almeno una volta.
8. Dave Bing
Era il basket dei nostri genitori e dei nostri nonni, ma una menzione speciale a questo signore va data senza ombra di dubbio.
La sua carriera nella NBA è stata formidabile: 7 volte All-Star con 2 titoli di MVP della competizione, 2 volte All-NBA First Team, Rookie of the Year, titolo di miglior marcatore e inserito nella lista dei 50 migliori giocatori della storia.
Leggenda dei Pistons negli anni 60′-70′, uno stile di gioco impeccabile e micidiale in termini di realizzazione, a quei tempi però torreggiavano giganti quali Chamberlain, Russell e dopo di loro iniziò la carriera di Lew Alcindor/KAJ, il titolo di campione era monopolio dei Celtics e poche altre squadre avevano speranze di andare in finale.
Dave approda a Boston lasciando i Bullets e questi l’anno stesso diventano campioni NBA. Correva l’anno 1978, Bing decise che era giunta l’ora di smetterla.
7. John Stockton
In molti dichiarano che senza Malone, “The Mute” non avrebbe avuto quel tipo di carriera, poiché senza un vero terminale offensivo che rendesse utili quei passaggi, Stockton era un giocatore qualunque.
Voci, nulla più, perché questo signore se non ha nel palmarès almeno due titoli NBA deve dare la colpa ad un solo giocatore: Michael Jordan.
Passatore stellare, in grado di vedere Karl anche a distanze siderali,
probabilmente la coppia più bella da vedere negli anni 90′ e anche la più sfortunata, proprio per la mancata vittoria dell’anello.
La sua posizione qui in classifica è solo a causa di giocatori ancora più
sfortunati e perché Stockton paga lo scotto di non essere mai stato realmente sotto la luce dei riflettori.
6. Patrick Ewing
Pat, caro Pat, non c’è mai stata pace per te e questo ti ha reso uno dei giocatori più incompiuti della storia.
Quando ad Est c’erano i Bulls di Jordan, i Knicks si arrendevano; negli anni del ritiro del numero 23, Ewing ha dovuto competere con il lungo più forte di quell’epoca, Olajuwon e si è visto soffiare il titolo solo in gara 7.
Nel 1999 ha l’ultima vera chance della carriera, ma ci pensano Duncan e Robinson, insomma non c’è storia e il suo corpo in declino non può chiedere altri anni per provare a vincere.
Uno tra i centri più interessanti, eleganti e dominanti dell’epoca, una leggenda a New York, il problema è aver dovuto fare i conti con la nomea di eterno secondo.
5. Steve Nash
Due titoli di MVP, mago e perno dei Phoenix Suns di Mike D’Antoni.
Tra fine anni 90′ e tutti gli anni 2000 prende il testimone di Stockton e reinventa il ruolo di playmaker, aggiungendo ai passaggi spettacolari e alla visione di gioco fuori dal comune, l’abilità nel tiro da fuori e l’ingannevole passaggio sulla linea di fondo che non lasciava scampo al marcatore.
Meritevole di alzare anche il Larry O’Brien, ma gli Spurs, i Lakers e i Mavericks avevano altri piani e anno dopo anno si vede sgretolare davanti agli occhi ogni possibilità di competere alle Finals.
Quando decide di formare il trio dei sogni con Howard e Bryant è troppo tardi, l’età e lo spirito non sono gli stessi di prima e a Los Angeles vedono solo i fantasmi della squadra che poteva essere.
4. Charles Barkley
In Space Jam il cane di Michael Jordan porta il suo nome e come sappiamo “Chuck” è entrato in quella speciale lista non scritta dal signore in maglia Bulls.
Stiamo parlando di uno tra i migliori rimbalzisti, nonostante fosse sotto i 2 metri, di un giocatore che poteva realizzare tranquillamente una tripla doppia grazie alle doti da passatore e alla sua prolificità, nella sua carriera si può dire abbia fatto tutto, tranne vincere.
Arriva ai 76ers campioni in carica nel 1984 e questi non vincono più, finisce a Phoenix, nel 1993 vince il titolo di MVP, sono i favoriti al titolo, poi Sir Charles decide di provocare Jordan con la frase:
I Suns sono tornati in finale dopo quasi 20 anni, questo è il destino Mike
Charles Barkley
Tutti sappiamo come finì.
Nel 1996 con qualche chilo di troppo e un Olajuwon oramai verso la fine dei suoi giochi, approda a Houston dove rimane fino all’inizio del nuovo millennio. Risultato: zeru tituli.
3. Allen Iverson
Il ball-handler più letale nella storia della NBA, capacità sovrumane di sapersi rendere grande contro veri giganti, il giocatore che ogni franchigia vorrebbe avere nel roster, ma che nessun coach vorrebbe allenare.
Da solo porta nel 2001 i Philadelphia alle Finals, di fronte ha i campioni Shaq e Kobe, ma lui in trasferta, gara 1 decide di portarla a casa. La storia non ha un lieto fine, il ragazzo però avrebbe voluto vincere.
Si toglie parecchie soddisfazioni, ma sono i limiti caratteriali a non realizzarlo come campione NBA, un titolo, inseguito per l’intera carriera, che non arriverà mai e renderà AI agli occhi dei più critici un fenomeno incompiuto.
2. Elgin Baylor
La bandiera dei Minneapolis/Los Angeles Lakers, una vita intera portando indosso quei colori con orgoglio e consacrandosi come uno dei giocatori più completi dell’epoca.
Punti e rimbalzi come se piovessero, record di punti in una finale NBA (61), l’altezza non lo avvantaggiava tra i lunghi del passato (196 cm), ma sapeva farsi valere così che ancora oggi possa essere considerato un’icona del basket.
Parlando di finali però, abbiamo di fronte il giocatore più perdente di ogni epoca con 8 apparizioni e 8 sconfitte, sbattendo contro il muro bianco-verde dei Boston Celtics.
Baylor a causa dei continui infortuni alle ginocchia è costretto al ritiro dopo 9 partite della stagione 1971-72, nemmeno a farlo apposta i Lakers inanellano 33 vittorie consecutive (record all-time ancora imbattuto) e vincono il loro 6° titolo dopo 18 anni.
1. Karl Malone
Obbligatorio il primo posto per Karl Malone. Il prodotto di Louisiana Tech è il prototipo del giocatore perfetto, scolpito, bello da vedere dentro e fuori dal campo e con un futuro roseo davanti.
Gioca quasi 20 stagioni e diventa il secondo marcatore della storia, dietro solo a Kareem Abdul Jabbar; forma insieme a John Stockton una coppia indimenticabile che segna e insegna durante tutti gli anni 90′.
Lui migliora di anno in anno e ottiene 14 convocazioni agli All-Star Game vincendo 2 MVP della gara, 11 volte nel miglior quintetto NBA e 3 volte nel quintetto dei migliori difensori a questo aggiunge 2 titoli di Most Valuable Player.
Una carriera invidiabile che con un titolo di campione NBA si potrebbe definire perfetta, ma il destino non sembra pensarla allo stesso modo.
Dapprima sarà Michael Jordan a rovinare la festa, con due 4-2 consecutivi alle Finals 1997 e 1998, rendendo vani gli sforzi in campo di “Stockton to Malone”; poi quando il fato parrebbe concedere la grazia al nostro “Postino”, ci si mettono di mezzo gli screzi tra compagni.
Malone approda nella stagione 2003-2004 agli allora tri-campioni in carica dei Lakers, formando con Shaq, Bryant e Payton un quartetto devastante.
I presupposti ci sono tutti per vincere e si arriva alle Finals del 2004, di fronte la minaccia chiamata Detroit Pistons, assieme al rapporto tutt’altro che idilliaco tra Kobe e Big Diesel, cancellano le speranze di vedere Karl campione NBA.