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FIBA World Cup 2023, i motivi dell’eliminazione di Team USA

Analizziamo com’è maturata una delle sconfitte più cocenti nella storia di Team USA

Nel giro di poche ore abbiamo assistito ad un evento storico: il basket europeo ha sovvertito il dominio americano, dimostrando, come dice Noah Lyles, che non sono loro i più forti del mondo. Ma è andata realmente così?

Il fallimento di Team USA (ma anche del Canada) è un segnale forte di come non sia sufficiente essere i migliori giocatori della migliore associazione cestistica del mondo per vincere sempre, ma questo è da sempre un concetto intrinseco in tutti gli Sport, oltre al principale fattore di passione e intrattenimento che essi generano.

Volendo però fare un’analisi più profonda, si possono ricercare le cause e le motivazioni di un flop rumoroso, il secondo consecutivo ad un Mondiale dopo China 2019.

Il primo grandissimo punto debole delle formazioni nordamericane è stato l’adattamento alle regole FIBA: la squadra di Steve Kerr ha fatto enorme fatica nel corso della competizione ad adattarsi all’assenza della regola dei 3 secondi difensivi in area, dato che abbiamo quasi sempre visto gli USA difendere con il modello NBA (che risulta decisamente meno vantaggioso rispetto a quello FIBA) e subire di conseguenza una marea di punti nel pitturato.

Non a caso le partite più sofferte sono state con Montenegro, Lituania e Germania che hanno occupato l’area a stelle e strisce con tanti corpi.

A questo dobbiamo aggiungere la mancanza sostanziale di molti lunghi nella selezione americana. Paolo Banchero (uno dei migliori della spedizione asiatica) non si è dimostrato in grado di fare il centro, Bobby Portis difensivamente ha sempre fatto fatica, mentre Jaren Jackson Jr non ha ancora imparato a gestire i 6 falli NBA, figuriamoci i 5 del regolamento FIBA.

Una delle colpe principali dello staff tecnico è stata senza dubbio non aver dato minuti a Walker Kessler: il giovanissimo centro dei Jazz, per quanto inesperto, difensivamente avrebbe portato quella rim protection, il cui deficit è risultato poi fatale, oltre a riempire l’area in maniera più efficiente anche in attacco.

Un’altra gestione che lascia dei dubbi riguarda la scelta del playmaker titolare: durante tutto l’arco del Mondiale, Tyrese Haliburton ha dimostrato una netta superiorità rispetto a Jalen Brunson (contro la Germania -19 di plus/minus, a fronte del +14 per il giocatore dei Pacers), eppure la posizione del giocatore dei Knicks non è mai stata messa in discussione.

Al contrario è pian piano sparito un fenomeno offensivo come Brandon Ingram, che ha patito moltissimo la scarsa gestione di palla a lui riservata ed è stato messo ai margini dalle rotazioni.

Tra equivoci tattici e regolamentari, scelte di selezione sbagliate e mancanza di aggiustamenti difensivi, gran parte delle colpe va assegnata allo staff tecnico: un gioco più essenziale e meno avveniristico si sarebbe cucito meglio su un gruppo che non ha i Draymond Green e i Kevon Looney a disposizione di Kerr agli Warriors, necessari per schierare quintetti più fluidi.

L’altra grandissima mancanza evidenziata dagli USA è stata senza dubbio l’atteggiamento: riservare così poco interesse ad una manifestazione internazionale è decisamente poco remunerativo, oltre che di pessimo gusto.

Non si parla solo della scelta di mandare al Mondiale seconde e terze linee della formazione olimpica (questo roster era e rimane comunque 3 spanne sopra a tutte le altre nazionali), quanto più della sottovalutazione dell’impegno da parte dei giocatori in campo.

Per fare un esempio, forse il più eclatante, Anthony Edwards, da subito autoeletto trascinatore del gruppo, non può permettersi di non difendere per i primi 38 minuti di partita, compensando in negativo tutto quello che di buono ha fatto in attacco (infatti il plus/minus recita un sonoro 0).

In conclusione, l’eliminazione da questo Mondiale (anche considerando che la finale contro la Serbia sarebbe stata decisamente comoda) è un’onta ben peggiore di quella del 2019 a conti fatti.

I riverberi nei prossimi anni porteranno verosimilmente un trionfo alle Olimpiadi 2024, magari nell’ultimo ballo internazionale di LeBron James, ma di sicuro al prossimo Mondiale servirà qualcosa di diverso. Va bene considerarsi i migliori al mondo, ma nei momenti più importanti bisogna anche dimostrarlo.

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